Memoria in tre dimensioni

Nell’era dei computer e di Internet, la quantità di informazione che circola sotto forma di bit è letteralmente esplosa. E bisogna poterla archiviare, leggere, scrivere, manipolare. Ma ormai le memorie informatiche oggi disponibili stanno rapidamente raggiungendo i loro limiti di capacità. Per il futuro bisognerà probabilmente abbandonare gli hard-disk a cui siamo abituati e pensare ad altri tipi di supporti per la memoria. Tra le strade più battute dalla ricerca, l’olografia è sicuramente una delle più promettenti. E, come si può leggere sull’ultimo numero di Nature, un notevole passo avanti in questa direzione è stato fatto dai ricercatori coordinati da Demetri Psaltis del Dipartimento di ingegneria elettronica del California Institute of Technology di Pasadena.

Uno dei problemi principali dei metodi di archiviazione tradizionali, siano essi gli hard-disk magnetici o i supporti ottici come i Cd-rom, è che l’informazione può essere scritta solo sulla loro superficie. Con un ologramma, invece, si può sfruttare l’intero volume del supporto. E questa possibilità ha stimolato la ricerca a migliorare le capacità delle memorie olografiche.

Le previsioni teoriche sono davvero promettenti. E’ stato stimato che un supporto olografico potrebbe contenere diverse decine di migliaia di gigabyte per centimetro cubo: più o meno diecimila volte la capacità di memoria di un comune hard-disk. Non solo. Anche la velocità di lettura sarebbe decisamente superiore a quella necessaria per i sistemi attuali: infatti con una memoria olografica si tratterebbe di spostare un fascio di luce anziché muovere meccanicamente i dischi.

Purtroppo, accanto a queste promesse, l’impiego delle memorie olografiche presenta numerosi problemi che le terranno confinate nei laboratori di ricerca ancora per parecchio tempo. L’ostacolo principale è che una volta immagazzinata, l’informazione viene “danneggiata” dalle letture successive: piano piano l’ologramma, e con esso i preziosi dati, si cancella. Una soluzione potrebbe essere di registrare l’ologramma con una luce di frequenza diversa da quella di lettura. Ma in questo caso si potrebbero verificare degli errori nella rilettura dei dati.

C’è chi invece ha proposto di memorizzare i dati attraverso una prima “incisione” con un laser molto potente, seguita poi da una lettura, sempre con luce laser assai meno intensa. Ma questa soluzione appare troppo dispendiosa e complessa per trovare un reale impiego commerciale.

La proposta che arriva dal Cal-Tech è invece nuova e originale: registrare l’ologramma in due distinte fasi. Il supporto, un cristallo di litio niobato con impurezze di ferro e manganese, viene prima “sensibilizzato” con luce ultravioletta, poi i dati vengono effettivamente immagazzinati utilizzando luce rossa. Le letture successive vengono effettuate con la sola luce rossa che però non modifica l’ologramma, poiché ciò richiede anche la luce ultravioletta.

“Quello compiuto è un passo importante per perfezionare un nuovo dispositivo olografico di registrazione dei dati”, commenta dalle pagine di Nature Hans Coufal ricercatore della Ibm, “ma non si tratta certo dell’ultimo. C’è ancora moltissimo da lavorare. Bisogna tenere conto che le tecniche alternative all’olografia migliorano le loro capacità di circa il 60 per cento all’anno. E solo quando avremo costruito un dispositivo in grado di superare gli attuali limiti potremo immetterlo sul mercato”.

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