Categorie: Salute

Metà clinica, metà laboratorio

Un luogo dove ricercatori di base e medici lavorino fianco a fianco, per far avanzare le conoscenze sulle lesioni del midollo spinale. È una sfida quasi inedita per l’Italia quella lanciata dal progetto Spinal (Spinal Patient Injury Neurorehabilitation Applied Laboratory), realizzato in collaborazione tra la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (Sissa) e l’Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione (Imfr) di Udine. Presso quest’ultimo istituto, che fin dal 1975 è il centro di riferimento nell’area per la cura e l’assistenza dei mielolesi, verrà creato anche un laboratorio in cui, lavorando su modelli animali, si farà ricerca sulle reti nervose della locomozione. “Esperienze simili di integrazione tra ricerca di base e assistenza clinica in questo campo esistono già in altri Paesi: negli Usa esistono a Los Angeles e Miami, in Europa a Zurigo, ma in Italia è una strada ancora da tentare” spiega Andrea Nistri, professore di Farmacologia Molecolare e Cellulare alla Sissa di Trieste e responsabile scientifico del progetto. Ma qual è il valore aggiunto di una struttura che ravvicini ricerca e cura? “Negli ultimi anni”, spiega Nistri, “ci si è accorti che il midollo spinale è molto più complesso di quanto si credesse. Fino a pochi anni fa si credeva che fosse solo un canale di trasmissione su cui viaggiavano in un senso i segnali sensoriali dal corpo al cervello, e nell’altro gli impulsi dal cervello stesso ai muscoli volontari. Ma ora sappiamo che il midollo spinale è una parte molto autonoma del sistema nervoso centrale, in grado di elaborare segnali nervosi in modo indipendente dal cervello”. Si è scoperto per esempio, racconta Nistri, che se si prelevano neuroni dal midollo spinale di feti di roditori, e li si coltiva in vitro, questi neuroni possono provocare il movimento di fibre muscolari. Il midollo spinale contiene quindi, prima ancora della nascita, i programmi motori, anche in assenza di stimoli dal cervello o dal sistema percettivo. Non solo, ma proprio come il cervello il midollo spinale ha una sua plasticità ed è in grado di riconfigurarsi dopo una lesione. “Dopo queste scoperte, abbiamo iniziato a chiederci perché è così difficile il recupero dopo una lesione, e il punto è che la rete di neuroni al di sotto della lesione è stata modificata dall’inattività. Visto che la rigenerazione del midollo lesionato è ancora molto lontana, l’idea a cui stiamo lavorando è trovare un modo per sfruttare quello che rimane al di sotto della lesione, e utilizzare un mix di farmaci, stimolazione elettrica e riabilitazione motoria per avere un recupero parziale sfruttando la plasticità delle reti neuronali”. In particolare, il team di Spinal si concentrerà sui momenti immediatamente successivi alla lesione, per esempio conseguente a un incidente automobilistico. “Sappiamo infatti che il danno neurologico si propaga dal sito iniziale come un fuoco, andando a interessare anche zone non colpite”. Questo processo, che provoca un danno chiamato “danno secondario”, dura ore, giorni, forse settimane. Uno degli obiettivi dello studio sui modelli animali sarà proprio comprendere meglio come si sviluppino queste lesioni.Soprattutto, però, la ricerca pura aiuterà la clinica a ottimizzare i trattamenti. Esistono alcune terapie standard, sia per limitare il danno secondario, sia per aiutare il recupero. Ma il problema è che si sa ancora troppo poco del midollo spinale per ottimizzarli in termini di dosi e modalità di somministrazione. La sperimentazione sui modelli animali permetterà di mettere alla prova e ottimizzare dosaggi dei farmaci e interazioni con altri trattamenti. Per esempio, vi sono farmaci che facilitano l’eccitabilità delle reti di neuroni del midollo, come la 4amino-piridina, che è stata oggetto di sperimentazioni negli Usa con risultati incerti. “Noi a Trieste abbiamo dimostrato che ha effetto solo se accompagnata da stimolazione elettrica”, spiega Nistri. In Italia vi sono dalle 60 alle 70mila persone con disabilità da lesione midollare, e circa 50 nuovi casi all’anno. Il 67,5 per cento sono di origine traumatica (soprattutto incidenti stradali), il resto deriva da patologie come mielite virale, infarto del midollo, ematomielia. Le lesioni del midollo provocano spesso paralisi di braccia e gambe e disabilità gravissime. Negli ultimi anni, grazie al miglioramento dell’assistenza, l’aspettativa di vita delle persone colpite da tetra-paraplegia (paralisi di tutti e quattro gli arti) è aumentate fino ad essere di poco inferiore a quella del resto della popolazione. Per questo si stima che dal 2005 vi saranno nel mondo circa 2,5 milioni di persone che convivono con questa condizione: il problema di migliorare la loro qualità di vita diventa quindi pressante.

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

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