Il modello matematico che spiega l’innovazione

L’innovazione è una delle forze trainanti del nostro mondo e la creazione costante di nuove idee, con la loro trasformazione in prodotti e tecnologie, costituisce un potente elemento fondamentale per la nostra società. Eppure questo processo rimane un mistero: da anni, infatti, diversi ricercatori in tutto il mondo, tra cui economisti, antropologi, biologi e ingegneri evolutivi provano a capire in che modo avviene l’innovazione e i fattori che la determinano. La velocità con cui le innovazioni appaiono e scompaiono è stata accuratamente misurata, con una serie di modelli matematici ben definiti, eppure, nessuno di questi è stato in grado di spiegare il processo che governi l’innovazione. Almeno fino a oggi: un team di scienziati della Sapienza Università di Roma, guidato dal fisico e professore associato Vittorio Loreto, è infatti riuscito a creare il primo modello matematico che descrive le dinamiche di innovazione e creatività. Lo studio è stato pubblicato sul server ArXiv.

L’idea che l’innovazione nasca dalla interazione tra il reale e il possibile è stata teorizzata per la prima volta da Stuart Kauffmann: nel 2002, il ricercatore statunitense ha introdotto l’idea del possibile adiacente, ovvero un insieme di idee, parole, canzoni, molecole, genomi, tecnologie e così via, molto vicini a quello che esiste realmente ma ancora inesplorati. Un’idea astratta difficile da modellizzare per un motivo importante: lo spazio di possibilità inesplorato comprende sia concetti facilmente immaginabili che elementi del tutto inaspettati e difficili da immaginare.

Inoltre, ogni innovazione cambia il quadro di possibilità future e così, a ogni istante, lo spazio di possibilità inesplorate e di conseguenza il possibile adiacente cambiano continuamente.

“Il concetto di base è proprio quello dell’adiacente possibile”, spiega Loreto. “Come sappiamo, l’evoluzione non procede per salti, ma la natura (come anche la tecnologia), cerca di innovare con il materiale che ha già a disposizione attraverso la sua ricombinazione. L’innovazione, quindi, si può rappresentare con l’esplorazione di uno spazio che può essere biologico, fisico e concettuale. E questo spazio del possibile si allarga ogni volta che viene esplorato, modificandosi così con elementi di novità. È un po’ come dire che da cosa nasce cosa”.

Ora i ricercatori italiani hanno creato un modello che fornisce, per la prima volta, una caratterizzazione matematica di queste dinamiche. Per prima cosa il team ha utilizzato una scatola nota come urna di Polya, riempita con palline di diversi colori. Una pallina viene estratta a caso, controllata e rimessa nella scatola con una serie di altre palline dello stesso colore, aumentando così la probabilità che questo colore venga selezionato in futuro. Questo è un modello che i matematici usano per studiare le leggi di potenza (che ricorrono nelle distribuzioni di probabilità) ed è, quindi, un buon punto di partenza per creare un modello di innovazione. “In questo modello si può osservare un meccanismo di rinforzo (rich-get-richer), ovvero un aumento della probabilità che mi capiti una pallina di un determinato colore, ma non c’è alcun elemento di innovazione”.

Così Loreto e il suo team hanno modificato il modello dell’urna di Polya, per tener conto della possibilità che la scoperta di un nuovo colore possa innescare conseguenze del tutto inaspettate. Questo modello, chiamato urna di Polya con attivazione dell’innovazione, prevede un’urna riempita di palline colorate. Una pallina viene estratta a caso, esaminata e rimessa nell’urna. “In questo caso”, spiega l’autore, “dal colore della pallina estratta dipende l’aggiunta di una serie di palline di nuovi colori, e quindi non contenuti nell’urna, che simboleggiano il possibile adiacente”.

Loreto ha così calcolato il numero di nuovi colori nell’urna, la loro distribuzione di frequenza e i cambiamenti nel corso del tempo. “Abbiamo analizzato tutti i sistemi disponibili, dagli atti in cui vengono modificate le pagine di Wikipedia ai database di musica online, e siamo andati a osservare le firme statistiche, tra cui c’è la legge di Heaps, che misura la frequenza con cui appaiono le novità“, racconta il ricercatore. Grazie al modello dell’urna di Polya con attivazione dell’innovazione, continua Loreto, “siamo riusciti a spiegare per la prima volta qualitativamente e quantitativamente le leggi in termini di dati empirici. I nostri risultati forniscono, quindi, un punto di partenza per una più profonda comprensione del possibile adiacente e la diversa natura di innescare eventi che potrebbero essere importanti nelle indagini dell’evoluzione biologica, linguistica, culturale e tecnologica”.

Via: Wired.it

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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