Uno studio indipendente della Harvard School of Public Health ha accertato un incremento negli anni della quantità di nicotina presente nelle sigarette, pari a un media dell’1,6 per cento all’anno. L’analisi riapre le polemiche mai del tutto sopite tra enti regolatori americani e multinazionali del tabacco, poiché sono gli autori stessi ad indicare come colpevoli dell’aumento (intenzionale) proprio i produttori. La nicotina è infatti responsabile della dipendenza indotta dal fumo di sigaretta e un aumento della dose inalata rende più difficile smettere.
Secondo i ricercatori di Boston, che hanno riesaminato e ampliato una precedente analisi condotta dallo stato del Massachusetts, la nicotina inalata attraverso tutti i tipi di sigarette vendute in America dal 1998 al 2005 è aumentata nell’arco di sette anni dell’11 per cento. Alla base di questo incremento potrebbero esserci l’utilizzo di una specifica varietà di tabacco, di una certa parte della pianta, o un particolare tipo di trattamento. In ogni caso Howard Koh, uno degli autori dello studio, non esita a concludere che “si è trattato di un aumento pervasivo, sistematico, che riguarda tutti i produttori”, e che quindi risulta fatto di proposito. Ad avvalorare la tesi è anche un secondo dato: l’aumento del numero di tiri per sigaretta dovuto a cambiamenti nella progettazione della stessa, anch’esso mirato ad accrescere al dipendenza.
Gli attivisti anti-fumo si sono subito appellati al governo statunitense affinché regolamenti il tabacco così come fa con i medicinali, mentre la Philip Morris, la prima multinazionale a rispondere, nonché il maggior produttore americano di tabacco, cerca di difendersi affermando che il livello di nicotina dei prodotti Marlboro ha semplicemente fluttuato negli ultimi anni. (a.p.)
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