Categorie: SaluteSocietà

Quanto cresce l’epidemia di ebola?

La matematica dell’epidemia di ebola non può ridursi alla semplice conta delle persone infettate e dei morti (anche se con quasi 5.000 casi e 2.400 morti nei paesi più colpiti è già abbastanza chiaro il quadro della malattia). Indagare tra i numeri dell’epidemia significa per esempio capire anche a che tasso si è diffuso e si sta diffondendo il virus, cercando di estrapolare delle previsioni (come già fatto da alcuni esperti).

Stavolta a tracciare il quadro di ebola in termini numerici sono due ricercatori, che su Eurosurveillance presentano i dati relativi al calcolo del numero riproduttivo R, ovvero un numero che per gli epidemiologi rappresenta il numero di contagi causati da un persona infetta. In sostanza, come ricorda anche Wired.com, se questo numero è inferiore a 1 l’epidemia si arresterà, se maggiore tenderà ad espandersi.

I due ricercatori firmatari del paper hanno così calcolato per esempio, che per un dato istante di tempo il numero riproduttivo in Guinea, Liberia e Sierra Leone di ebola è stato oscillante: a volte è stato 1 altre prossimo a 2 (ma sempre maggiore di 1 fino alla fine di agosto). E in effetti da quando è scoppiata, l’epidemia è cresciuta, diventando la peggiore di ebola che la storia ricordi. E se il tasso, nello scenario peggiore immaginabile scrivono i ricercatori, dovesse rimanere invariato entro la fine del 2014 il numero di contagi potrebbe toccare cifre spaventose (da 77mila a 277 mila altre infezioni).

Previsioni apocalittiche, ma che secondo gli esperti servono non tanto ad allarmare quanto piuttosto a ricordare che contro ebola forse le misure messe in atto sono state finora inadeguate, e che se non si interverrà in maniera decisiva le cose potrebbero anche andar peggio (senza contare il rischio di mutazioni del virus).

Cosa fare, ancora? Richard E. Besser, chief health editor per ABC News, sul Washington Post è stato chiaro, dichiarando del tutto inadeguato il livello di risposta all’epidemia. Nella sua opinione, quello che servirebbe è l’intervento di alcune truppe statunitensi sul campo, convinto che un intervento militare durante epidemie eccezionali possa essere la chiave per fermare la trasmissione delle infezioni. Queste truppe, scrive Besser, potrebbero per esempio essere coinvolte nelle procedure di sepoltura delle vittime, allestire grandi ospedali di campo, essere impiegati nell’identificazione di nuovi focolai ed essere coinvolti nelle pratiche di controllo delle infezioni. Un aiuto – che potrebbe effettivamente arrivare come richiesto da parte degli Usa, come si vocifera nelle ultime ore – che non sarebbe solo umanitario, ma volto a garantire anche la sicurezza globale. Perché, ricorda Besser, le epidemie, oltre a uccidere le persone, destabilizzano anche i governi.

Via: Wired.it

Credits immagine: European Commission DG ECHO/Flickr

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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