Non tutti sentono il dolore allo stesso modo. Il motivo, secondo uno studio finanziato dai National Institutes of Health statunitensi apparso su Nature Medicine, è legato a un gene sul cromosoma 7 chiamato GCH-1 che regola la sensibilità individuale. In particolare, esiste una variante di GCH-1 che alza la soglia di sopportazione. La possiede circa un quarto della popolazione mondiale, a cui bastano dosi inferiori di antidolorifici. I
test sono stati condotti su volontari sani e pazienti che avevano appena subito interventi chirurgici in diversi centri statunitensi, fra i quali l’Istituto di ricerca dentale e craniofacciale ( Nidcr) di Bethesda, e l’Istituto per l’abuso di alcolici e l’alcolismo (Niaaa). Ciò che era noto all’inizio dello studio era che il gene GCH-1 controlla la produzione del GTP cicloidrolasi, enzima chiave nel processo di produzione di alcuni neurotrasmettitori. I primi indizi sono stati raccolti grazie alla risonanza magnetica nucleare funzionale, che ha registrato quale area del cervello si attivava nell’istante in cui volontari sani venivano sottoposti a stimoli dolorosi di diverso tipo. Dopo aver avuto conferma del ruolo del gene sui ratti, i ricercatori sono quindi andati a cercare le varianti di GCH-1 nell’essere umano.
Hanno scoperto quella che riduce la sensibilità sia al dolore post-chirurgico sia al dolore acuto. Adesso si tratta di definire esattamente il modo in cui il gene GCH-1 è acceso da infiammazioni o ferite, o anche in situazioni naturali come il parto, sperando di identificare gli altri geni coinvolti. La scoperta del gene GCH-1 potrebbe aprire la strada a nuove terapie contro il dolore. (ma.ma.)
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