In quasi tutti i cromosomi umani si trovano i geni dell’olfatto, ma solo una piccola parte di questi è attiva. Lo afferma un articolo pubblicato sul numero di marzo di Nature Genetics. Due diversi metodi di analisi hanno portato un gruppo internazionale di studiosi, tra cui Dominique Giorgi del Cnrs Ers di Montpellier, in Francia, a concludere che in ben 19 dei 23 cromosomi umani sono presenti geni che codificano per i recettori olfattivi. Circa il 70 per cento di questi però non risulta attivo. In pratica, sono degli pseudogeni, cioè geni non più funzionanti a causa di mutazioni. La scoperta contribuirà a determinare come i recettori olfattivi si sono evoluti e se l’odorato umano si sia deteriorato nel corso del tempo. Secondo i ricercatori, il fatto che le mutazioni siano state riscontrate anche negli scimpanzé e nei macachi potrebbe far supporre che siano avvenute in un antenato comune, forse tra i 5 e i 25 milioni di anni fa. Un’altra ipotesi formulata dai ricercatori prevede invece che i geni siano stati disattivati solo nell’uomo mentre sarebbero ancora attivi in specie animali dall’olfatto più sviluppato, come i cani e i topi. Anche se dotati di un fiuto meno raffinato di altri animali, l’uomo potrebbe essere più sensibile agli odori di quanto si potesse sospettare. Alcuni ricercatori dell’Università di Chicago, autori di un articolo pubblicato in questi giorni su Nature, hanno scoperto infatti che annusare la secrezione delle ghiandole ascellari di donne in fase di ovulazione produce nei soggetti femminili un allungamento del ciclo mestruale. A causare questo fenomeno potrebbero essere i ferormoni, segnali chimici che anche gli animali usano per influenzarsi a vicenda.
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