Robot da allevamento

Allevare un robot. Con la possibilità di farlo crescere ed educarlo, insegnandogli quale siano i comportamenti da assumere. È quanto ha reso possibile un progetto italiano (che porta il nome di Breedbot), frutto del lavoro del “Laboratorio di Vita Artificiale e Robotica” dell’Istituto di Scienze e Tecnologie Cognitive (Istc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma, dell’Università Federico II di Napoli e dell’Università degli Studi di Palermo. Durante l’esperimento i ricercatori hanno usato un semplice robot-giocattolo della Lego, un computer, tre sensori da montare sull’automa e un software per programmarlo. La prima parte dell’educazione è avvenuta virtualmente, direttamente dentro al computer. “Per il progetto, che nasce come una propaggine ludica della robotica evolutiva, abbiamo infatti sviluppato nove robot virtuali provvisti di nove genomi-software differenti che hanno dato a ognuno degli automi un carattere diverso”, spiega Onofrio Gigliotta, assegnista dell’Istc-Cnr e dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Palermo, ideatore del progetto insieme a Orazio Miglino, professore di Psicologia generale alla Federico II.Inizialmente, quindi, i nove robot si sono mossi dentro il computer con l’obiettivo di adattarsi a una serie di stimoli decisi dai ricercatori. Dopodiché, osservando le azioni e le reazioni della prima popolazione di robot, sono stati scelti i tre che si ritenevano i migliori per essere riprodotti. “Ognuno dei tre robot”, continua Gigliotta, “è stato infatti clonato tre volte, sempre virtualmente, migliorando o accentuando per ogni singolo esemplare alcune caratteristiche piuttosto che altre”. I nuovi nove robot presentavano quindi delle piccole differenze, e dopo un’ulteriore selezione è avvenuta la scelta definitiva. Il genoma-software è stato trasferito sul giocattolo della Lego, un robot molto semplice da assemblare a cui è stata data, quindi, una sorta di cervello. E che è stato munito di tre semplici sensori a infrarossi che gli consentono di aggirare gli ostacoli fisici intorno a lui e di due motori elettrici che gli assicurano i movimenti. Il tutto con una spesa minima, tanto bassa che anche un non esperto potrebbe riprodurre l’esperimento. Il kit della Lego costa infatti circa 240 euro, mentre i sensori meno di 120.Lo studio, che a prima vista può sembrare un semplice gioco, in futuro potrebbe invece avere importanti risvolti in diverse discipline, scientifiche e non. Prima fra tutte la ricerca spaziale. Per esplorare ambienti estremi come per esempio quello di Marte servono infatti robot il più possibile autonomi, che non abbiano bisogno di un continuo intervento umano per sapere cosa fare. Ecco quindi l’importanza di un genoma-software che sia in grado di “insegnargli” il comportamento da adottare. Ma perché cercare un approccio evolutivo quando sarebbe sufficiente programmare il robot e ordinargli, anche a distanza, di compiere determinate azioni? “Credo che un simile approccio sia più robusto”, risponde Gigliotta. “Mi spiego: quando si programma un robot non è detto che si sappia in anticipo cosa andrà a fare e cosa potrà incontrare, come nel caso di una spedizione spaziale. Per questo è importante che l’automa sia in grado di far fronte anche agli imprevisti e per farlo occorre che il software che comanda il robot sia frutto di una selezione tra diversi programmi”.

Federico Ferrazza

Giornalista, è nato nel 1978. E' coordinatore del sito Wired.it. Ha scritto di tecnologia, new media e scienza per alcune delle principali testate nazionali; tra queste: Galileo, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, L’espresso, Il Venerdì di Repubblica, Wired Italia, XL, Il Corriere delle Comunicazioni, Sapere. Insegna new media e giornalismo on-line in alcuni master universitari. 

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