Anche gli scimpanzé muoiono di Aids. Uno studio pubblicato da Nature, condotto su due popolazioni del Gombe National Park, in Tanzania, mostra per la prima volta che gli animali colpiti dal virus Siv-cpz (dell’immunodeficienza della scimmie) riportano danni del sistema immunitario paragonabili a quelli degli esseri umani malati di Aids.
I virus Siv che hanno infranto la barriera tra le specie scimpanzé-essere umano, dando le varianti Hiv-1 e Hiv-2, sono sempre stati considerati non patogeni nelle scimmie. Nei loro ospiti naturali, infatti, non sembravano provocare nessuna grave sindrome da immunodeficienza. Fino a oggi.
I ricercatori statunitensi hanno studiato l’incidenza del virus in due popolazioni (Kasekala e Mitumba) che, a partire dagli anni Sessanta e Ottanta rispettivamente, sono state sotto la stretta osservazione del gruppo coordinato da Jane Goodall. In nove anni di studi sono stati raccolti centinaia di campioni di feci e urine di 99 scimpanzé. Di questi, 17 sono stati trovati infetti e i risultati delle analisi genetiche suggeriscono modalità di trasmissione sia verticale (madre-figlio) sia orizzontale (attraverso aggressioni o rapporti sessuali).
Lo studio ha permesso ai ricercatori di osservare che il rischio di mortalità degli animali infetti è più alto di 10-16 volte e che il virus influenza la fertilità delle madri e la sopravvivenza della prole. Infatti, non solo le femmine malate hanno messo al mondo un numero inferiore di figli rispetto alle altre, ma tutti i loro piccoli sono morti prima di compiere un anno.
Le autopsie eseguite su cinque animali deceduti, infine, mostrano in quelli malati la quasi totale distruzione del sistema immunitario e la perdita progressiva di un particolare tipo di linfociti T, sintomi simili a quelli provocati dall’Aids nell’essere umano. “I risultati di questo studio offrono l’opportunità di comparare i meccanismi di azione di due virus strettamente correlati in due specie altrettanto vicine. Questo approccio potrebbe accelerare l’identificazione dei fattori responsabili della progressione della malattia e portare a nuove misure preventive e terapeutiche”, hanno spiegato gli autori dello studio.
Nuovi risultati arrivano anche dalla ricerca sul virus umano. Gli studiosi dell’Irccs materno-infantile Burlo Garofalo di Trieste hanno individuato un particolare assetto genico che protegge i bambini nati da madri sieropositive dal contrarre l’infezione in fase perinatale. In particolare a rendere i piccoli resistenti al virus è la perdita di 14 basi (le lettere del Dna) in un gene, l’HLA-G. Questo gene è da tempo considerato responsabile del meccanismo che permette al feto di essere riconosciuto e accettato dal sistema immunitario materno. (c.v.)
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature08200
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