Categorie: Salute

“Stiamo perdendo la sfida”

L’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) sta perdendo la sua sfida con la tubercolosi. Nonostante l’introduzione da oltre dieci anni del Dots (Directly Observed Treatment, Short-Course), cioè di una strategia a livello internazionale contro la Tbc, il tasso della malattia respiratoria continua a salire. A lanciare l’allarme dalle pagine del Journal of Epidemiology and Community Health sono Tim Brewer e Jody Heymann dell’Harvard University in Massachusetts. Secondo loro l’impatto della strategia dell’Oms è modesto: un terzo della popolazione mondiale è infettata dal bacillo e il 5-10 per cento di essi si ammala o diventa contagioso. Ogni anno si possono contare 8,8 milioni di nuovi casi nel mondo e due milioni di morti. Nei paesi più colpiti dalla malattia il Dots prevede un regime di trattamento con quattro farmaci per i primi due mesi e con due farmaci per il resto della terapia per un totale di sei mesi, somministrati con un sistema di monitoraggio specifico. Quando fu lanciato nel 1991 aveva l’obiettivo di individuare il 70 per cento dei casi di Tbc e curarne l’85 entro il 2005. Da allora più di 13 milioni di persone sono state trattate con questa strategia in 22 nazioni e ben otto paesi hanno raggiunto i traguardi in anticipo, dicono i dati dell’Oms. Ma gli autori dello studio rilanciano: nei paesi con alti tassi di Hiv o di resistenza multipla ai farmaci anti-Tbc, il Dots è del tutto inadeguato. “Nell’Africa sub-sahariana, dove ci sono alti tassi di tubercolosi e di infezione da Hiv, c’è stato un aumento di oltre il 200 per cento del numero di persone che si ammalano di tubercolosi nonostante i programmi Dots”, spiega Tim Brewer, uno degli autori della ricerca. “Questo accade perché non si previene l’insorgere della malattia in coloro che sono infettati sia da Hiv sia da tubercolosi in forma latente”. Una larga fascia della popolazione mondiale, infatti, resterebbe fuori da ogni controllo e trattamento. I due miliardi di persone che nel mondo hanno la Tbc latente, cioè sono infettati ma non hanno sviluppato la malattia, risultano negative alla citodiagnosi (striscio salivare), il test utilizzato per diagnosticare la Tbc e avviare la terapia Dots. Lo stesso vale per più della metà dei malati veri e propri, oltre nove milioni di persone che restano fuori dalla terapia ma che sono responsabili di oltre un milione di nuove infezioni. “Comprendendo nel trattamento solo quelli positivi al test, la strategia di controllo della malattia avrà un impatto modesto. Inoltre il Dots non prevede un effettivo trattamento per la resistenza multipla ai farmaci anti-Tbc, per cui in alcuni paesi della Russia e dell’Europa dell’est il trattamento mostra alti tassi di fallimento, i pazienti continuano ad essere ammalati e diffondono il virus ad altre persone, che sono a loro volta a rischio di sviluppare la malattia”, continua Brewer. Ma le accuse dei due esperti sono scientificamente infondate e non tengono conto dei numerosi traguardi raggiunti dal Dots, sostiene Mario Raviglione, direttore del programma globale “Stop TB” dell’Oms: “Abbiamo messo in atto il più potente trattamento per sconfiggere la tubercolosi, certo è un processo lento ma non si può dire che non funzioni. Basti pensare che in Perù il declino è del 6-7 per cento l’anno, pari a quello visto nei paesi industrializzati da quando esistono i farmaci anti-TB. Grossi anche i progressi fatti in Cina: secondo una ricerca apparsa su “The Lancet”, nelle province che hanno adottato il Dots la prevalenza della tubercolosi è scesa del 40 per cento in più rispetto al resto del paese”. Ma Brewer e Heymann chiedono a gran voce interventi più efficaci. Per esempio l’uso dell’antibiotico isoniazide per il trattamento preventivo delle persone con tubercolosi latente, inclusi i sieropositivi, l’estensione dei trattamenti anche ai pazienti che non risultano positivi al test e forme di controllo anche per coloro che sono a contatto con i malati.La soluzione, però, è più teorica che pratica. L’efficacia clinica di questa proposta, infatti, è dimostrata per le piccole comunità ma non su larga scala, mette in guardia Raviglione. “Nei paesi in via di sviluppo sono molte le difficoltà a mantenere per sei mesi sotto trattamento i malati di tubercolosi, per cui sarebbe impensabile riuscire a curare due miliardi di persone affette dall’infezione latente per ben nove mesi. Purtroppo non esiste una formula magica per sconfiggere questa malattia, né tantomeno un trattamento più potente di questo”.

Roberta Pizzolante

Giornalista pubblicista dal 2005, è laureata in Sociologia e ha un master in "Le scienze della vita nel giornalismo e nei rapporti politico-istituzionali" conseguito alla Sapienza. Fa parte della redazione di Galileo dal 2001, dove si occupa di ambiente, energia, diritti umani e questioni di rilevanza etica e sociale. Per Sapere, bimestrale di scienza, si occupa dell'editing e della ricerca iconografica. Nel corso negli anni ha svolto vari corsi di formazione e stage nell'ambito della comunicazione (Internazionale, Associated Press, ufficio stampa della Sapienza di Roma, Wwf Italia). Ha scritto per diverse testate tra cui L'espresso, Le Scienze, Mente&Cervello, Repubblica.it, La Macchina del Tempo, Ricerca e Futuro (Cnr), Campus Web, Liberazione, Il Mattino di Padova. Dal 2007 al 2009 ha curato l'agenda degli appuntamenti per il settimanale Vita non Profit.

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