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Tbc: a caccia di un vaccino

I primi esperimenti sui topi da laboratorio fanno sperare bene. I ricercatori dell’ Albert Einstein College of Medicine di New York hanno infatti pubblicato su Nature Medicine uno studio che getta le prime basi per lo sviluppo di un vaccino contro la tubercolosi (Tbc). La notizia arriva quando qui in Italia la malattia imperversa sui media a causa del recente caso dell’ infermiera del Policlinico Gemelli di Roma, risultata positiva ai test. Secondo dinamiche non ancora ben chiarite, la donna, che lavorava nel reparto maternità, avrebbe involontariamente contagiato, nel giro di pochi mesi, almeno 115 neonati. Le indagini delle autorità presto ci diranno se nell’ospedale romano erano state prese tutte le misure preventive per tutelare la salute dei bambini.

Intanto, i ricercatori di tutto il mondo sono al lavoro per identificare i frammenti di dna che rendono tanto pericoloso il Mycobacterium tuberculosis, la causa primaria di questa patologia delle vie respiratorie. Il suo bersaglio, infatti, sono gli alveoli polmonari, dove prolifera a lungo prima di infettare il resto del corpo con conseguenze spesso letali.

Il gruppo dell’ Albert Einstein College of Medicine, guidato da William Jacobs, conduce da tempo i suoi esperimenti sfruttando il Mycobacterium smegmatis, un batterio molto simile alla forma virulenta della Tbc, ma in grado di uccidere solo i topi. Gli scienziati hanno scoperto che modificando uno dei suoi geni, esx-3, le risposte immunitarie delle cavie infettate riescono a rispondere all’invasione da parte del bacillo attenuato (chiamato Ike). La soluzione, quindi, sarebbe quella di disarmare anche M. tubercolosis e utilizzarlo per creare un vaccino adatto a proteggere l’essere umano.

C’era però una difficoltà da superare: i ricercatori non riuscivano a rimuovere esx-3 dal genoma senza distruggere il ceppo di batterio letale per l’uomo. Senza una colonia batterica con cui continuare gli esperimenti, gli scienziati erano rimasti letteralmente con le mani legate. La soluzione alla fine è arrivata: se non si poteva manipolare M. tubercolosis, tanto valeva prendere i suoi geni virulenti e inserirli dentro il ceppo Ike, che si era rivelato più maneggiabile.

I risultati non si sono fatti attendere: il vaccino ottenuto grazie al nuovo ibrido Ike ha protetto le cavie infettate dalla Tbc, che sono sopravvissute per ben 135 giorni, contro i 54 toccati in media agli animali senza vaccinazione. Alcuni topi sono riusciti a rimanere in vita addirittura per 200 giorni, mostrando chiari segni di ripresa dalla malattia. Tuttavia, in questo ultimo caso, il vaccino è stato efficace solo nel 20% degli esperimenti. Una percentuale troppo bassa per cantare vittoria. Il lavoro degli scienziati, quindi, sarà ancora molto lungo.

La speranza è che il team possa presto sviluppare un vaccino sicuro, adatto a sostituire la vecchia tipologia di vaccinazione e le cure a base di antibiotici.

Nel corso del tempo, infatti, la Tbc ha sviluppato una resistenza nei confronti delle molecole utilizzate per combatterla. L’obiettivo finale è quello di far scomparire del tutto la malattia dalla faccia della Terra. Una sfida difficile, se si pensa che il caso italiano è solo una goccia nell’oceano. Infatti, secondo i dati diffusi dal programma globale Stop Tb, la tubercolosi uccide ogni anno più di 1,7 milioni di persone in tutto il mondo.

Riferimenti: Nature Medicine doi:10.1038/nm.2420

Via: wired.it

Lorenzo Mannella

Si occupa di scienza, internet e innovazione. Laureato in Biotecnologie presso l'Università di Pisa, ha frequentato il master SGP in comunicazione scientifica presso Sapienza Università di Roma. Collabora con Galileo dal 2011. Scrive per Wired, Sapere e L'Espresso.

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