Un omaggio a Rasetti

Di un paio di mesi più grande di Fermi (è nato il 10 agosto del 1901, a Pozzuolo Umbro, comune di Castiglione del Lago), Franco Rasetti è stato probabilmente il componente più brillante, sotto il puro profilo sperimentale, del gruppo dei “ragazzi” di via Panisperna. La passione per l’attività di ricerca si sviluppò in lui fin dagli anni infantili, sotto forma di una inesauribile curiosità verso i più disparati aspetti dei fenomeni naturali, accompagnata ad un altrettanto irrefrenabile entusiasmo per l’attività fisica. Fino agli anni del liceo, il giovane Rasetti si costruì così una profonda erudizione nelle scienze naturali, in modo particolare nell’entomologia, e una notevole competenza in campo alpinistico. In quegli anni cominciò una raccolta (e relativa classificazione) di coleotteri che, quando fu da lui donata al Museo Civico di Zoologia di Roma nel 1939, aveva raggiunto la consistenza di circa trentamila esemplari. In alcuni casi si trattava di specie nuove, identificate da Rasetti nel corso di spedizioni sotterranee (in particolare nel Carso) in cui si sposavano l’aspetto scientifico dell’interesse per la tassonomia degli insetti e il lato sportivo legato all’esplorazione speleologica.

Una speciale influenza sul giovane Rasetti era esercitata dallo zio Gino Galeotti, patologo di fama e appassionato alpinista: con lui Rasetti trascorse vari periodi di vacanza in estate presso l’Istituto Angelo Mosso, al Col d’Olen nel gruppo del Monte Rosa, dividendo il proprio tempo tra le scalate e l’attività di portatore di strumenti o di “cavia umana” per le attività scientifiche che si svolgevano all’Istituto sulla fisiologia in quota e sulla glaciologia. Più tardi, negli anni romani, Rasetti sarebbe diventato il leader naturale di un gruppo in cui tutti i componenti, a diversi livelli di competenza, erano accomunati dalla passione per la pratica dell’alpinismo. Dalla aneddotica che si è tramandata intorno a via Panisperna, e soprattutto dai documenti di archivio, risulta che il rapporto con la montagna di alcuni di quei giovani era qualcosa di più significativo (tecnicamente e emotivamente) di quanto non si sarebbe portati a credere. Nelle loro liste di ascensioni figurano grandi classiche dell’arco alpino, e arrampicate dolomitiche di quarto grado (stiamo parlando di studenti romani senza guida, negli anni venti). Pare che Rasetti fosse, alpinisticamente parlando, un soggetto competente ma di cui diffidare, perché abituato a tirare pessimi scherzi ai compagni di ascensione meno esperti: in sostanza, sembra che si dilettasse molto a scappare avanti a tutti in discesa, lasciando gli altri a tirarsi da soli fuori dai guai, con conseguenze più o meno gradevoli (bivacchi imprevisti, cadute in crepacci e simili amenità).

Rasetti iniziò gli studi universitari nel 1918 a Pisa; iscrittosi dapprima ad ingegneria, passò poi a fisica al terzo anno di studi, soprattutto a causa dell’influenza del compagno di studi Enrico Fermi, di cui aveva come tutti riconosciuto le eccezionali qualità. Per sua stessa ammissione, Rasetti imparò almeno tanta fisica da Fermi quanta dal suo professore, Luigi Puccianti, che comunque gli trasmise le sue notevoli conoscenze sul piano delle attività sperimentali in spettroscopia. Gli anni universitari cementarono una solida amicizia tra Rasetti, Fermi e Nello Carrara; i tre dividevano curiosità scientifiche e, almeno a giudicare dai ricordi loro e di altri testimoni, una considerevole dose di humor goliardico e scherno irriverente nei riguardi del mondo ordinario. Se Fermi era incontestabilmente il faro di riferimento sul piano scientifico, in materia di stravaganze l’anima trainante era decisamente Rasetti, fondatore tra altre amenità di una singolare “Società antiprossimo”, la cui prima manifestazione pubblica consistette nel lanciare in aria un gatto, nell’aula in cui il professor Giandomenico Maggi teneva la lezione di meccanica razionale, onde dare dimostrazione sperimentale del teorema secondo cui l’animale, comunque fatto cadere, atterra sempre sulle zampe.

Per quanto efficace sia stato in seguito il loro sodalizio scientifico, fondato in larga parte proprio sugli aspetti complementari delle rispettive competenze, certo Fermi e Rasetti erano personaggi e caratteri molto diversi sotto svariati punti di vista. La dedizione pressochè totale di Fermi per la fisica non aveva riscontro nella disponibilità di Rasetti verso qualunque avventura intellettuale. In anni molto più tardi, Rasetti avrebbe confidato ad Amaldi di “essere scettico sulla possibilità di ridurre “un gatto” (la vita) a sola fisica”. Carrara lo ricorda così negli anni pisani:”Rasetti era fino da allora un uomo straordinario; dotato di grandissima intelligenza e di straordinaria memoria, conosceva una enorme quantità di cose; la sua cultura e i suoi interessi andavano dalla fisica ai coleotteri, di cui aveva una fra le migliori collezioni di tutta Italia: dalla chimica all’arte, alla letteratura. Alto, magro, con un mento prominente, che denotava la sua straordinaria forza di volontà, estremamente preciso nelle sue cose, nella sua attività, nei suoi movimenti, sguardo acutissimo e penetrante, spirito caustico molto temibile, egli si faceva notare di primo acchito. Quanto Fermi passava inosservato, tanto Rasetti con la sua rumorosa, crosciante, petulante risata su tutto e su tutti, richiamava immediatamente l’attenzione”.

Rasetti conseguì la laurea nel 1922. Fino al 1926 fu assistente all’Istituto Fisico dell’Università di Firenze, diretto da Antonio Garbasso, riprendendo, negli ultimi due anni, il rapporto di collaborazione scientifica con Fermi, che trascorse a Firenze gli anni 1925 e1926, prima di vincere il concorso di fisica teorica e trasferirsi stabilmente a Roma. Rasetti non tardò a seguire l’amico: nel gennaio del 1927 passò come “aiuto” all’Istituto di Fisica di Roma diretto da Orso Mario Corbino. Nel 1930, dopo essere riuscito vincitore di un concorso a cattedra, fu chiamato da Corbino come professore di Spettroscopia, e occupò questa posizione presso l’Istituto romano fino al 1939. Poco dopo il trasferimento a Roma, Rasetti arricchì la propria competenza nelle tecniche spettroscopiche con un soggiorno di studio all’estero reso possibile grazie ad una borsa della fondazione Rockefeller. Nel 1928-29 trascorse un anno presso il California Institute of Technology, dove lavorò in particolare sull’effetto Raman, recentemente scoperto. Il fisico indiano, che avrebbe ricevuto nel 1930 il premio Nobel, era stato insignito nel 1928 della prestigiosa medaglia Matteucci da parte della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, e aveva visitato per l’occasione l’Istituto di Corbino. I risultati degli esperimenti condotti da Rasetti sugli spettri Raman delle molecole di idrogeno, azoto e ossigeno si rivelarono di grande interesse per le conseguenze teoriche che se ne potevano trarre: in particolare, le indicazioni sperimentali relative al momento magnetico e allo spin della molecola di azoto costituivano la migliore indicazione delle difficoltà presentate dal modello allora prevalente, che contemplava la presenza di elettroni, oltre che di protoni, all’interno del nucleo (il neutrone non era ancora stato scoperto).

Le ricerche sull’effetto Raman segnarono la transizione dalla spettroscopia atomica alla fisica nucleare, che il gruppo di Fermi operò a cavallo tra gli anni venti e trenta. Per acquisire le tecniche di indagine sulla radioattività necessarie per il nuovo programma di ricerca, Rasetti passò, grazie ad un’altra borsa Rockefeller, un secondo anno all’estero, e nel 1931-32 lavorò con Lise Meitner presso il Kaiser Wilhelm Institut di Berlino. L’esperienza maturata a Berlino rese i suoi servizi nella brillante serie di esperienze condotte sotto la guida di Fermi nei due anni successivi, che portarono alla produzione della radioattività artificiale ottenuta grazie a bombardamento di neutroni, e quindi alla scoperta delle singolari proprietà dei neutroni lenti. Nel 1935-36 Rasetti lavorò sui neutroni lenti alla Columbia University di New York, e verosimilmente maturò in quella circostanza il germe della decisione, che prese pochi anni più tardi a seguito del deterioramento della situazione politica, di lasciare l’Italia e cercare una posizione in America. La situazione precipitò verso la fine del 1938, con la promulgazione delle leggi razziali, quando divenne chiaro agli amici che Fermi stava per lasciare definitivamente l’Italia. Mario Salvadori ricorda la seguente scena svoltasi all’Istituto di Fisica nel novembre del 1938, in occasione di una sua visita a Fermi in cui gli comunicò la propria intenzione di abbandonare l’Italia per gli Stati Uniti e scoprì che Fermi nutriva gli stessi propositi: “Ero ancora sbalordito, quando si aprì la porta e apparve la testa di Rasetti. “O icché si dice? Si complotta?” chiese. “Salvadori ha deciso di farla finita e andare in America”, gli rispose Fermi. “Davvero? Lui se ne va, tu te ne vai. E io chi sono, il bischero? Allora vo’ via anch’io.”

L’occasione gli fu data subito dopo, quando all’inizio del 1939 ricevette l’offerta di dirigere il nuovo dipartimento di fisica dell’Università cattolica Laval a Quebec, in Canada, grazie a contatti mediati dalla Pontificia Accademia delle Scienze. Giunto a Quebec, Rasetti trasformò in tempi rapidissimi quello che era un vecchio e fatiscente istituto in un moderno centro di ricerca, giungendo in breve a dotare il laboratorio del minimo di strumentazione necessaria per effettuare tra il 1940 e il 1941 le prime misure, sia pure affette ancora da grandi incertezze, della vita media del mesone (che allora per la verità non si chiamava ancora così). In Canada, Rasetti dovette trovare qualche altra attività “collaterale” da affiancare agli impegni professionali (non potendo “ridurre un gatto a sola fisica”) in sostituzione delle cacce agli insetti cavernicoli con cui si dilettava in Italia. Fu così che cominciò a setacciare le montagne canadesi alla ricerca di fossili, specializzandosi rapidamente nelle trilobiti del Cambriano e sviluppando una curiosità per la paleontologia destinata a trasformarsi ben presto in un interesse quasi esclusivo. In questa direzione fu certamente spinto dal progressivo distacco maturato nei confronti delle ricerche in fisica nucleare, motivato dalle vicende della guerra e dall’uso a fini militari che di quelle ricerche era stato fatto. Avendo rifiutato, nel gennaio 1943, di partecipare al progetto anglo-canadese per lo sviluppo dell’energia nucleare a scopi militari, Rasetti fu estremamente deciso, negli anni successivi, nel rivendicare la propria decisione di non contribuire allo sforzo bellico, e molto duro nei suoi giudizi verso quegli scienziati (molti dei quali suoi vecchi colleghi e amici) che avevano al contrario fatto la scelta opposta. “Devo ammettere che scoprire i segreti della Natura è tra le cose più affascinanti che ci possano essere. Ma può darsi che qualcosa sia insieme molto affascinante e molto pericoloso. La scienza può dire “Se vuoi costruire una bomba da 100 megatoni devi fare così e così”, ma la scienza non può mai dirci se dobbiamo costruire una bomba da 100 megatoni. Penso quindi che gli uomini dovrebbero interrogarsi più a fondo sulle motivazioni etiche delle loro azioni. E gli scienziati, mi dispiace dirlo, non lo fanno molto spesso”.

C’era certamente, alla radice del graduale allontanamento dalla fisica verso altri settori di ricerca che si produsse in Rasetti negli anni della guerra e in quelli immediatamente successivi, dell’altro, oltre alle forti motivazioni di carattere etico legate all’uso militare delle ricerche e alla produzione di armi di sterminio di massa. La fisica del dopoguerra cambiò scala rispetto agli anni trenta, diventò “big science”, conobbe una crescita mai sperimentata in precedenza in termini di persone, investimenti, dimensioni dei laboratori, complessità degli apparati sperimentali. Era una tendenza che non poteva piacere al carattere fortemente individualista di Rasetti, restio all’irregimentazione e fondamentalmente artigianale nel suo modo di concepire la ricerca. “Il campo sta diventando troppo affollato; c’è troppa pressione per i miei gusti. A Roma nel 1931 si ritrovarono insieme tutti i fisici nucleari di tutto il mondo che avevano dato qualche contributo significativo; c’erano cinquanta o sessanta persone. Oggi capita che ce ne siano centinaia in una sola organizzazione governativa. Ai congressi ci vanno tre o quattromila persone. Nessuno conosce nessuno, e quei pochi che conosci sono persi in questa folla enorme. La ricerca si svolge in condizioni di pressione estrema, perché ci sono tante persone che lavorano allo stesso problema che non ci si può permettere di rilassarsi. Se stai lavorando su qualcosa su cui lavorano simultaneamente altri dieci gruppi, e ti prendi una settimana di vacanza, gli altri ti battono sul tempo e pubblicano prima. E’ una corsa disperata. Per questo faccio il paleontologo”.

Nel 1947 Rasetti passò da Quebec a Baltimore, come professore di fisica alla Johns Hopkins University (il suo posto di direttore dell’Istituto di Fisica a Laval fu preso dal vecchio amico Enrico Persico, che lo tenne per tre anni prima di rientrare a Roma nel 1950). A Johns Hopkins Rasetti restò per venti anni, ma pur essendo formalmente professore di fisica i suoi interessi scientifici si spostarono in modo sempre più deciso in direzione della geologia e della paleontologia, campi in cui giunse rapidamente ad essere un’autorità internazionalmente riconosciuta, per quanto egli continuasse a considerarsi un dilettante nel campo. Nel 1953 la National Academy of Sciences gli conferì la Charles Walcott Medal per la sua attività di ricerca. Nella ricerca di fossili e trilobiti Rasetti aveva chiaramente ritrovato quella dimensione “artigianale” della ricerca che ormai era scomparsa dalla fisica. “Ho ricavato molto piacere e gratificazione dalla geologia e dalla paleontologia, sia per i riconoscimenti che ho avuto dai colleghi in questo campo, sia perché mi hanno offerto salutare e piacevole esercizio fisico, specialmente nelle regioni montuose dell’ovest. Il numero limitato di persone dedite allo studio del Cambriano, e della paleontologia in generale, è una delle caratteristiche piacevoli di questa disciplina in confronto alla fisica. Non c’è rischio di duplicazione del lavoro, né bisogno di competizione o pressione a pubblicare risultati incompleti. Le scienze geologiche, o almeno la stratigrafia e la paleontologia, sono sfuggite fino ad ora alla corruzione che è stata importata nella fisica dalle applicazioni militari e dai grandi finanziamenti governativi. Il lavoro sul campo si fa ancora con martello e scalpello come un secolo fa, non con attrezzatura industriale, e la ricerca in laboratorio richiede pochi e semplici strumenti. E’ ancora un lavoro che può essere fatto da una sola persona ad un costo pressoché trascurabile”.

Rasetti era anche un eccellente fotografo: realizzò tra altre cose una ricchissima collezione di diapositive in bianco e nero di grande formato che coprivano l’intero arco alpino. Questa doppia passione, per la montagna e la fotografia, si coniugò felicemente negli anni sessanta con un nuovo spostamento di interessi scientifici in direzione della botanica, portandolo a realizzare una monumentale opera di classificazione, documentata fotograficamente, della flora alpina, che si è tradotta in un ricco volume su “I fiori delle Alpi” pubblicato nel 1980 dall’Accademia dei Lincei. Dopo dieci anni trascorsi a Roma, tra il 1967 e il 1977, Rasetti si trasferì a Waremme, in Belgio, paese natale della moglie Marie Madeleine Hennin, che aveva sposato nel 1949 a Baltimore. Ha continuato a lungo a viaggiare e a fotografare orchidacee, la sua ultima fatica scientifica. Il più anziano dei ragazzi di via Panisperna varcherà la soglia dei cento anni il 10 agosto prossimo.

BIBLIOGRAFIA

Larga parte delle notizie sulla biografia di Franco Rasetti derivano dalla documentazione raccolta nell’archivio di Edoardo Amaldi presso il Dipartimento di Fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma. Le citazioni nel testo sono prese dalle fonti seguenti:
Nello Carrara, “Ricordi di Fermi” (relazione tenuta al Rotary Club di Firenze il 16 maggio 1955);
Mario Salvadori, “Ricordando Enrico Fermi (memorie di un non-fisico)”, Il Nuovo Saggiatore 1,1987,3;
Thelma Nason, “A Man for All Sciences”, The Johns Hopkins Magazine, January 1966

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here