Ecco come l’obesità provocherebbe il diabete autoimmune

    “Abbiamo scoperto come e perché l’obesità è un fattore importante che contribuisce all’insorgenza del diabete autoimmune dell’adulto“: così Raffaella Buzzetti, docente di endocrinologia alla Sapienza Università di Roma e direttore dell’Unità Operativa Complessa di diabetologia all’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina, ci introduce lo studio appena pubblicato sulla rivista Diabetes Care, che dimostra come l’obesità contribuisca ad uccidere le cellule del pancreas attraverso una reazione autoimmune, cioè attraverso la produzione di auto-anticorpi che distruggono lentamente le cellule beta, produttrici di insulina. È un altro tassello di conoscenza che consente di spiegare la relazione tra l’incremento dell’obesità e quello del diabete autoimmune (Nirad), una forma rara della malattia, legata all’obesità, ma le cui cause esatte fino a oggi erano poco conosciute.

    Il Nirad è una forma particolare di diabete che si colloca a metà strada tra i due pilastri classici della classificazione: il tipo 1 che compare nei giovani ed è causato dalla distruzione autoimmune delle cellule pancreatiche (in Italia interessa circa 200 mila persone) e il tipo 2, dovuto invece ad una resistenza dei tessuti periferici ai comandi impartiti loro dall’insulina e al progressivo esaurimento della funzione del pancreas; quest’ultimo, il più frequente (in Italia interessa oltre 3,7 milioni di persone) si accompagna molto spesso a sovrappeso e obesità.

    Il diabete di tipo 1 si tratta subito con l’insulina; il tipo 2 si tratta con farmaci (medicine che aumentano la sensibilità dei tessuti all’insulina e altre che stimolano il pancreas a produrre più insulina) che vanno presi anche per molti anni, per poi arrivare gradualmente alla terapia con
    insulina. I paziente che sono affetti da diabete Nirad sono apparentemente indistinguibili dai classici pazienti di tipo 2 (adulti, che presentano resistenza insulinica, sono in sovrappeso o obesi) ma nel loro sangue sono presenti autoanticorpi diretti contro le cellule pancreatiche, che li rendono simili ai pazienti di tipo 1; i pazienti Nirad tuttavia possono essere trattati con i farmaci in compresse per molti anni e arrivano al trattamento con insulina molto più lentamente dei tipici soggetti con diabete di tipo 1.

    Il nuovo studio, finanziato da Diabete ricerca onlus – la fondazione della Società Italiana di Diabetologia dedicata a supportare studi scientifici – ha valutato l’esistenza di una possibile correlazione tra la frequenza di comparsa e la tipologia di autoanticorpi (gli stessi presenti nei soggetti con diabete di tipo 1), espressi nel sangue dei pazienti con diabete di tipo Nirad e la loro massa corporea. Sono stati studiati 1850 pazienti affetti da diabete di tipo 2 appartenenti alla coorte del progetto Nirad che sono stati suddivisi, a seconda dell’indice di massa corporea. In tutti è stata ricercata la presenza di anticorpi diretti contro le cellule beta del pancreas produttrici di insulina.

    Il 6,5% del totale delle persone studiate (120 soggetti) sono risultate portatrici di almeno un tipo di anticorpo diretto contro le cellule beta pancreatiche. Ma gli unici autoanticorpi che aumentano in maniera proporzionale all’aumentare della massa corporea nei pazienti con diabete di tipo 2, sono risultati quelli tipo Ia-2(256-760). I pazienti obesi, con diabete di tipo 2, portatori di questo particolare tipo di autoanticorpo, presentavano anche una più ampia circonferenza del punto vita, più elevati valori di acido urico e di colesterolo totale e mostravano una più lenta progressione verso il trattamento con insulina rispetto ai soggetti che presentano anticorpi anti-Gad. Nessuno dei pazienti con diabete di tipo 2 obesi, portatori di questi autoanticorpi è infatti arrivato al trattamento
    con insulina, durante i 7 anni di follow up, rispetto al 60% di quelli portatori di altri autoanticorpi. È come se gli anticorpi Ia-2(256-760) fossero insomma spuntati, meno aggressivi degli altri verso le isole pancreatiche. “In sostanza, con l’aumento dell’indice di massa corporea”, ci dice ancora Buzzetti, “è più probabile che s’inneschino infiammazioni addominali e del pancreas, che a loro volta attivano la produzione di anticorpi che danneggiano le cellule che producono insulina”.

    Una possibile spiegazione potrebbe essere che lo scatenamento di questo fuoco amico sia secondario al processo infiammatorio cronico, alla base del danno alle cellule beta, che si verifica nei pazienti di tipo 2 obesi. L’obesità viscerale rappresenta infatti uno dei principali fattori di
    rischio per il diabete di tipo 2, perché provoca uno stato di infiammazione cronica che contribuisce a determinare sia l’insulino-resistenza che la graduale distruzione delle cellule beta pancreatiche. “Lo studio”, conclude Buzzetti, “offre spunti rilevanti in quanto suggerisce che l’obesità è in grado di favorire lo stato infiammatorio alla base di molte malattie autoimmuni”.

    Riferimenti: Tyrosine Phosphatase-Related Islet Antigen 2(256–760), the Only Marker of Islet Autoimmunity That Increases by Increasing the Degree of BMI in Obese Type 2 Diabetic Subjects; Raffaella Buzzetti,1 Marialuisa Spoletini,1 Simona Zampetti,1 Giuseppe Campagna,1 Lidia Marandola,1 Francesca Panimolle,1 Francesco Dotta,2 and Claudio Tiberti,1 for the NIRAD study group (NIRAD 8); Diabetes Care 2015;38:1–8 | DOI: 10.2337/dc14-1638

    Credits immagine: via Pixabay

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