Quella molecola che incatena al fumo

Nei laboratori parigini dell’Istituto Pasteur è stata individuata nel cervello dei topi una molecola implicata nel meccanismo della dipendenza da nicotina, l’alcaloide presente nelle foglie di tabacco. Si tratta di un tipo particolare di “recettore nicotinico per l’acetilcolina”, una proteina complessa, formata da più subunità, che si trova in diverse aree cerebrali e nel sistema mesolimbico-dopaminergico. “Grazie a questa scoperta, ora possiamo pensare a una nuova strategia contro la dipendenza: a un farmaco, per esempio, che agendo selettivamente su questo recettore, faccia passare agli animali la voglia di autosomministrarsi la nicotina, e ai fumatori la voglia di fumare”. Così dice Michele Zoli, ricercatore presso la sezione di fisiologia del dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Modena e autore della ricerca, insieme al neurologo francese Jean Pierre Changeux, dell’Istituto Pasteur.

Ma come si è arrivati a questa scoperta? “Già sapevamo che i mammiferi, e dunque anche la specie umana, possono sviluppare dipendenza per questo alcaloide e che il sistema mesolimbico- dopaminergico, localizzato nel centro del cervello, era coinvolto nei meccanismi della dipendenza. Sapevamo pure che la nicotina, come l’eroina, la morfina o le amfetamine, è una sostanza d’abuso: quando a un animale, ratto o topo che sia, è data in laboratorio la possibilità di autosomministrarsela, lo fa ad libitum. Ma questo alcaloide, per agire, ha bisogno di recettori specifici: i recettori nicotinici, appunto. Il problema è che nell’organismo, di recettori per la nicotina ne esistono moltissimi: molecole tutte simili tra loro, ma implicate in meccanismi diversi. Alcuni, per altro, anche utili”. La nicotina infatti, benché ormai universalmente denigrata, dà qualche vantaggio: per esempio, come tutti i fumatori sanno bene, è capace di migliorare alcune performance cognitive e di aumentare il livello di concentrazione.

“Per questa ragione – spiega Zoli – occorreva individuare, tra le molecole recettrici, quelle implicate nel processo di autosomministrazione della nicotina. In altri termini, bisognava scovare i responsabili del fenomeno della dipendenza. Solo in questo modo, infatti, si può agire in modo selettivo, cioè interferire con i recettori ‘cattivi’ lasciando in funzione i recettori utili, quelli coinvolti negli effetti positivi dell’alcaloide”.

“Noi abbiamo notato – continua Zoli – che nei topi nei quali era stato inattivato il gene per una particolare subunità (la beta-) del recettore nicotinico per l’acetilcolina, cioè negli animali dotati di un recettore incompleto e inattivo, non si instaurava la nicotina-dipendenza. Nonostante avessero la possibilità di farlo, questi animali non si autosomministravano l’alcaloide”. I topi mutanti, insomma, si comportavano con la nicotina esattamente come nei confronti delle sostanze non d’abuso: dopo averne assunto qualche dose, smettevano di esserne attratti. Al contrario i topi normali, quelli cioè con recettori completi e funzionanti, diventavano velocemente dipendenti. Da qui all’individuazione del colpevole il passo è stato breve.

Questo, però, è quanto accade nei topi. E negli esseri umani? “Il cervello dell’uomo – spiega il ricercatore – è strutturalmente più complesso di quello murino. Ma per quanto riguarda i meccanismi molecolari che ne regolano il funzionamento, uomini e topi sono pressoché identici”. In sostanza quello che è vero per i topi è vero anche per noi.

“Noi – conclude il ricercatore – abbiamo individuato uno dei recettori coinvolti nell’instaurarsi della dipendenza. Ma potrebbero essercene altri. Di certo, questo recettore è inequivocabilmente determinante: infatti quando non funziona, la dipendenza dalla nicotina non si instaura”.

A questo punto della storia tutto fa prevedere un’ennesima corsa alla formulazione del farmaco “miracoloso”: la molecola che libera tutti dalla tremenda iattura delle sigarette. E che eviti ai fumatori, soprattutto a quelli d’oltre oceano vessati più che altrove, non solo i noti danni per la salute ma anche – e non è poco – multe salatissime e sempre, inevitabilmente, più frequenti.

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