Il mondo di Hofstadter

Cosa hanno in comune uno dei più grandi musicisti tedeschi del ‘700, un matematico americano che con le sue teorie ha rivoluzionato la matematica di questo secolo e un famoso artista olandese di cui proprio quest’anno ricorre il centenario della nascita? Apparentemente molto poco, a parte la fama. E invece c’è un “sapore” comune che lega questi personaggi, lontani sì nel tempo, nello spazio e nel lavoro, ma vicini nello spirito: Johann Sebastian Bach, Kurt Godel e Maurits Cornelius Escher. Un legame cercato e indagato per oltre 10 anni da Douglas Hofstadter, che nel 1979 condensò il frutto dei suoi studi in un libro destinato a fare storia tra i volumi di divulgazione scientifica, a vendere oltre un milione di copie in tutto il mondo e a vincere anche un premio Pulitzer nel 1980: “Godel, Escher, Bach. Un’eterna ghirlanda brillante”, tradotto in italiano da Adelphi nel 1984. Da allora anche Hofstadter è diventato un personaggio, che dopo aver abbandonato l’iniziale passione per la fisica teorica ha ampliato i suoi interessi alla logica, alla teoria della calcolabilità, alla biologia e all’intelligenza artificiale, alle traduzioni (dal russo) delle opere di Puskin, fino ad approdare alla disciplina Zen. E forse proprio a un “maestro” orientale fa pensare questo personaggio dall’aria un po’ schiva e dal volto scavato, inquadrato da una folta capigliatura brizzolata. Sia per lo sguardo trasparente che lascia intuire la capacità comunicativa e la chiarezza nello scrivere e nel parlare, sia per il suo raro sorriso disarmante.

Nelle settimane scorse Hofstadter era in Italia, in occasione del convegno organizzato tra Roma e Ravello, sulla costiera amalfitana, proprio per celebrare il centenario della nascita di Escher. E nell’occasione ha raccontato a Galileo come è nato il percorso delle sue ricerche e come prosegue oggi.

Cominciamo dal titolo, “Godel, Escher, Bach”: qual è il filo conduttore che unisce questo trio di grandi nella “ghirlanda brillante”?

“Quando ho cominciato a progettare il libro, volevo descrivere le radici della coscienza, le strutture astratte alla base di qualsiasi oggetto fisico materiale “in carne e ossa”. Questo tema era per me collegato al teorema di Incompletezza di Godel e allo strano anello al cuore della sua dimostrazione per cui, salendo e scendendo lungo i gradini di un sistema gerarchico, ci si ritrova inaspettatamente al punto di partenza. Il titolo che avevo pensato era “Il teorema di Godel e il cervello umano”, dato che volevo scrivere un libro sul cervello e sul famoso teorema che nel 1931 elettrizzò logici, matematici e filosofi interessati ai fondamenti della matematica, mostrando la limitatezza dei sistemi formali. Mentre scrivevo mi sono accorto che le immagini di Escher mi aiutavano a descrivere le strutture astratte della logica matematica. Così ho pensato di inserire nel testo molti disegni, come aiuto e appoggio per il lettore. Per rendere artistico un libro divulgativo alternavo capitoli descrittivi e dialoghi tra Achille e la tartaruga. Gli stessi che Lewis Carroll aveva ripreso dagli scritti del filosofo Zenone. Con questi protagonisti ho cominciato a esplorare varie possibilità formali, come per esempio la costruzione di un dialogo in cui l’ultima frase detta dalla tartaruga è praticamente uguale alla prima cosa detta da Achille, e le voci si incontrano nel mezzo. In questo modo sperimentavo con lo scrivere una struttura e una simmetria musicale che si trova in quel tipo di canone chiamato cancrizzante. Bach mi è venuto in aiuto con le sue opere musicali in forma di canoni e fughe. A Godel ed Escher si è aggiunto quindi il nome del grande musicista, a formare un titolo arrivato abbastanza tardi nel processo dello scrivere”.

Professor Hofstadter, Escher continua a essere un anello di raccordo tra la cultura scientifica e quella umanistica. Quali sono punti di contatto tra le sue opere e la fisica?

“Un esempio è il concetto di simmetria, cioè di invarianza delle leggi fisiche nel caso di alcune riflessioni. Quando si invertono le coordinate spaziali di una particella, oppure la si cambia nella sua antiparticella o ancora si inverte la direzione del tempo, esiste comunque una simmetria fondamentale delle cose. Questa idea traspare chiaramente nell’opera di Escher “Giorno e Notte”, dove ci sono due villaggi identici, speculari, uno immerso nelle tenebre e l’altro illuminato dal sole. Nei due paesaggi simmetrici e complementari, gli uccelli bianchi e neri si intrecciano esprimendo un concetto di mistero e di eleganza, che si può estendere dal mondo concreto quotidiano e visivo all’universo della fisica subatomica. Naturalmente Escher non usava queste parole, e giocava con oggetti macroscopici come pesci, uccelli e campi. Ma cercava comunque di rappresentare realtà fondamentali, di esprimere la sua visione del mistero presente nel cuore di tutte le cose. Secondo me quel mistero potrebbe riguardare le strutture delle particelle, le leggi fondamentali della natura”.

Quindi è il mistero nei quadri di Escher che fa pensare al mondo fisico…

“Sì, anche se la fisica è diventata oggi troppo astratta, e io me ne sono allontanato proprio per recuperare il contatto con cose più reali e quotidiane. C’è stato un periodo in cui mi occupavo solo di quella piccolissima frazione di secondo in cui si è originato l’Universo. Ma a un certo punto mi è sembrato così assurdo pensare di dedicare tutta la mia vita allo studio di un istante così astratto, lontano dalle nostre vite e impossibile da spiegare. Così ho scelto di studiare qualcosa per noi molto più familiare, cioè il nostro cervello e come pensiamo. E adesso la mia mente è meno votata all’astrazione rispetto a quando avevo venti anni, mi sento più concreto e apprezzo sempre di più l’arte e la cultura umanistica. Così, oltre a seguire i miei studenti nelle ricerche sui meccanismi che sottostanno alla creatività e al pensiero, sono impegnato in questo periodo nella traduzione dal russo all’inglese dell’”Onegin”, di Aleksandr Sergeevic Puskin. Non voglio solo riprodurre il contenuto dei circa quattrocento sonetti che costruiscono il romanzo, ma anche la forma. Esiste già una traduzione ottimale in inglese dell’amico Falen, ex professore di russo all’Università del Tennessee che ha riprodotto fedelmente il tono di Puskin. Questo fatto, invece di scoraggiarmi, mi fa sentire libero di seguire il mio sentiero, il mio stile, per scoprire ciò che mi viene più naturale”.

E come si snoda questa ricerca?

“Cerco di rimanere fedele al contenuto per quanto sia possibile, rendendo ogni immagine, ma non ogni dettaglio. Se per esempio l’autore descrive un pettine, una spazzola o delle forbici, io provo a riprodurre tutti gli oggetti, ma se la rima non funziona posso aggiungere uno specchio invece di un pettine. In questo modo il lettore potrà raffigurarsi più o meno il quadro descritto da Puskin, anche se gli oggetti, e quindi le parole, non sono proprio gli stessi. Con il mio stile, esagero la tendenza di Puskin a giocare con i suoni, e mi diverto più di lui con le parole. Lo scrittore prediligeva le allitterazioni, cioè l’uso di parole che iniziano con la stessa consonante, e io accentuo questa caratteristica, in modo che la mia traduzione sia in un certo senso una caricatura”.

Hofstadter, lei sembra procedere per immagini, e in questi giorni ne abbiamo viste molte, presentate dagli artisti che si sono ispirati a Escher. Cosa pensa del loro lavoro?

“Ho notato persone con molto talento. Non sono sicuro, però, che abbiano il tipo di ispirazione che aveva Escher. Anche se sono veramente bravi e i loro quadri sono ottimi, ripetono sempre gli stessi temi, senza riuscire a inventare niente. Mi sembrano imitatori che non hanno trovato una loro propria voce. Escher invece era uno sperimentatore, che espandeva la conoscenza, rompendo i suoi confini e andando oltre le sue scoperte. Tuttavia c’è un artista che mi ha colpito, l’olandese Rinus Roelafs, con le sue griglie molto astratte. Ha presentato strutture che si intersecano a formare sfere o altri oggetti, opere che nascono da studi matematici ma che contemporaneamente sono molto artistiche. E’ l’unico che sembra esplorare una strada personale senza imitare qualcun altro, e il suo spirito mi ha ricordato quello di Escher. Per il resto, mi sento un po’ deluso, pensando che se Escher fosse stato qui, forse non avrebbe apprezzato questo tipo di arte che segue le sue orme. Lui si interessava non solo all’illusione, o alla rappresentazione fedele di qualcosa, ma anche alla bellezza. C’è un senso di magia, di mistero, di stranezza, che pervade le sue opere. E questo aspetto estetico non lo trovo nei nuovi artisti, interessati al realismo combinato con l’illusione, più che alla bellezza”.

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