Allergie, l’altra faccia dell’igiene

Una volta tanto l’inquinamento non ha colpe: più che lo smog o l’esposizione a sostanze tossiche sarebbero le condizioni “igienicamente perfette” in cui viviamo la causa dell’aumento di allergie che ormai da tempo si registra nei i paesi occidentali. Le nostre case linde, i nostri cibi microbiologicamente puri sarebbero delle vere e proprie armi a doppio taglio: da una lato ci proteggono dalle malattie, allungando e migliorando la nostra vita, dall’altra sarebbero responsabili dell’infiacchimento del nostro sistema immunitario. Che non più allenato a confrontarsi con l’infinita varietà di microbi ed elementi estranei che un tempo attraversavano il nostro corpo, avrebbe delle reazioni spropositate anche di fronte a un pelo di gatto di per sé innocuo. E’ questo, in sintesi, il senso dell’”ipotesi igienica” sostenuta da un gruppo di ricercatori italiani in uno studio epidemiologico pubblicato sul British Medical Journal.

Allergie ed epatite A

“Siamo partiti dalla constatazione che esiste una relazione inversa tra la presenza di allergie respiratorie e l’esposizione al virus dell’epatite A.”, spiega Paolo Matricardi, ricercatore del Laboratorio di Immunologia ed Allergologia dell’Aereonautica Militare e autore dello studio. “Nel 1997”, ricorda lo studioso, “quando facemmo queste osservazioni ci limitammo a considerare l’epatite A come una generica indicazione di scarsa igiene. In seguito abbiamo però pensato che l’associazione con l’epatite A potesse significare più precisamente trasmissione di microbi, virus e batteri, per via orofecale. E ora il nuovo studio, condotto su un folto gruppo di cadetti dell’aviazione, ha confermato questa ipotesi. Abbiamo cioè scoperto che non tutte le infezioni hanno lo stesso effetto di ‘protezione’ dallo sviluppo di allergie”. Solo i ragazzi che nel corso della loro crescita erano esposti a una quantità crescente di infezioni a trasmissione orale, fecale o alimentare (Helicobacter pylori, epatite A, Toxoplasma gondi), infatti, hanno rivelato una minore propensione allo sviluppo di allergie. Non altrettanto efficaci, se così si può dire, si sono invece rivelate le infezioni da batteri e virus presenti nell’aria, come l’Herpes simplex, per esempio.

Un sistema immunitario “ignorante”

L’adozione di particolari precauzioni igieniche avrebbe dunque profondamente modificato il rapporto con i microbi, soprattutto con quelli che entrano nel nostro organismo attraverso gli alimenti e i contatti con le altre persone. Avremmo insomma eretto tra noi e i batteri, specie quelli veicolati attraverso le feci e altre secrezioni organiche, delle barriere praticamente insormontabili. Muri costruiti grazie alla diffusione, notevole rispetto al passato, dei bagni e dell’acqua corrente nelle case, all’uso di detersivi, saponi, prodotti disinfettanti. Ma anche e soprattutto alla adozione di misure igieniche nella produzione e conservazione alimentare: la sterilizzazione dei cibi e la catena del freddo, per esempio, sono tutte procedure che sbarrano il cammino dei microbi verso il nostro corpo. E se da una parte questo ha portato senz’altro dei vantaggi alla salute, da un’altra ha reso più vulnerabili le difese immunitarie. Con lo stile di vita tradizionale nell’intestino vi sarebbe infatti competizione tra i batteri, che si ricambiano in continuazione dando così modo al sistema immunitario di allargare la gamma delle sue difese. “Oggi invece”, ricorda Matricardi, “la separazione tra noi e i microbi sin dai primi giorni di vita determina nei bambini un ricambio della flora batterica molto rallentato e, in alcuni casi dirittura assente. Tanto che una volta stabilita una particolare colonia, questa rimane dominante per mesi, o addirittura anni”.

Più infezioni alimentari e allergie

Lo studio epidemiologico condotto da Matricardi e da alcuni ricercatori del Cnr e dell’Istituto superiore della sanità, in quanto tale fornisce solo dati indicativi. Ma pur con tutti i suoi limiti, esso sembra rafforzare l’ipotesi di partenza, e cioè che ci sia un’associazione tra infezioni di tipo alimentare e assenza di allergie. Un’ipotesi questa che, d’altro canto, è confermata anche da osservazioni condotte sugli animali in laboratorio. Secondo questi studi, gli animali che hanno una flora intestinale povera sviluppano un sistema immunitario deficitario, o quanto meno più facilmente tendente all’allergia. “Tant’è vero”, afferma Matricardi “che alcuni biologi impegnati in questo campo non si sono per nulla stupiti dei nostri risultati. D’altro canto, nell’intestino si trova la maggior parte del tessuto linfoide, di cui sono fatte le ghiandole dove inizia a formarsi la risposta immune dell’organismo (i linfonodi), presente dell’organismo: e il nostro studio conferma che è qui che il sistema immunitario sviluppa le sue risposte contro tutto ciò che arriva dall’esterno”.

La ricerca italiana offre anche nuovi elementi al dibattito sui possibili vantaggi apportati dall’esposizione ai microbi e ai loro antigeni prodotti dagli animali alla difesa dalle allergie. “E’ noto che i bambini che vivono in campagna, e che scorrazzano tra mucche, galline e mucchi di letame, sviluppano molto meno facilmente le allergie dei loro coetanei cittadini, il cui contatto con gli animali si limita spesso alla convivenza tra le ‘asettiche’ quattro mura domestiche con un cagnolino o un gattino”. Ma la prudenza è d’obbligo. Se, infatti, frequentare gli animali in condizioni ‘naturali’ potrebbe essere un aiuto allo sviluppo del sistema immunitario, “in un contesto cittadino e domestico”, precisa lo studioso, “le cose vanno diversamente: il pelo di questi animali, infatti, di per sé innocuo, può mandare in crisi un sistema immunitario poco ‘allenato’ a confrontarsi con elementi estranei. E favorire così la sensibilizzazione”.

Verso nuovi trattamenti

Diversi elementi rafforzano dunque l’”ipotesi igienico-alimentare” sostenuta da Matricardi e dai suoi colleghi. Un’ipotesi che, se confermata, potrebbe portare a un nuovo approccio nella prevenzione delle allergie. L’idea è quella di condizionare la flora batterica per influire sulla tendenza all’allergia. Per esempio, stimolando lo sviluppo immunitario con assunzione di “pillole di batteri”. “La stimolazione batterica è già praticata”, ricorda il ricercatore, “ma a mio parere non se ne stimano le potenzialità”.

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