I sei vitelli supergiovani

Sono cloni. E sono due volte più giovani di quanto gli scienziati immaginavano. Le loro cellule, infatti, appaiono meno vecchie di quelle da cui sono state generate. Ma non solo: come dissetati alla fontana dell’eterna giovinezza, gli esemplari creati in laboratorio sono più giovani anche dei loro coetanei non clonati. Almeno a livello cellulare. Protagonisti di questa “stranezza” biotecnologica, sono sei vitelli nati nei laboratori dell’Advanced Cell Technologies di Worcester nel Massachusetts (http://www.advancedcell.com/). I primi a meravigliarsi della scoperta sono stati proprio gli scienziati dell’azienda americana che ora la descrivono su Science. Le cellule dei cloni, infatti, non mostrano i segni di invecchiamento precoce, quegli stessi che avevano gelato l’entusiasmo intorno all’esperimento Dolly, il clone di pecora accusato di essere nato già “vecchio”. Il processo di clonazione usato nel caso dei vitelli sembra invece averli ringiovaniti, riportando indietro le lancette dell’orologio biologico cellulare.

L’età di una cellula si valuta grazie a due fattori strettamente legati fra loro: la lunghezza dei telomeri – porzioni di Dna che coprono le estremità dei cromosomi – e il numero di cicli vitali ancora da compiere. La vita della maggior parte delle cellule è infatti contrassegnata da un numero finito di divisioni, ognuna delle quali usura i telomeri che diventano ogni volta più corti. Dal momento che i telomeri dei mammiferi non sono in grado di autoripararsi, la lunghezza di queste estremità rappresenta una sorta di orologio biologico che scandisce il tempo fino a quando la cellula non può più replicarsi.

Fu proprio osservando al microscopio questo particolare che gli scienziati giunsero alla conclusione che Dolly, la pecora clonata nel 1996 dai ricercatori del Roslin Institute di Edimburgo (http://www.ri.bbsrc.ac.uk/), era nata con le cellule invecchiate, tanto quanto quelle della pecora di partenza. Ora, nel caso dei vitelli americani gli scienziati hanno lavorato a partire da fibroblasti (cellule di tessuto connettivo) “vecchi”, cioè con meno di quattro divisioni cellulari ancora da compiere. Sorprendentemente la tecnica di clonazione da loro utilizzata ha permesso di invertire il processo di invecchiamento cellulare: alle cellule dei sei cloni rimangono infatti ancora più di 90 cicli vitali. Come se non bastasse i telomeri dei vitelli sono addirittura più lunghi di quelli presenti in esemplari “normali” della stessa età. Insomma, come li hanno definiti i genetisti dell’Act, si tratta di veri e propri ritratti di giovinezza.

“I nostri risultati”, ha affermato Robert Lanza, uno degli autori dello studio “dimostrano che la clonazione può invertire il processo di invecchiamento delle cellule”. I ricercatori non sanno ancora in che modo la tecnica abbia consentito alle cellule di ringiovanire, e se questo effetto si traduca poi in un allungamento della vita degli animali. Quello che è certo è che questo esperimento cancella i dubbi sollevati dalla clonazione di Dolly, nata “vecchia”, e “ha profonde implicazioni per il trattamento delle malattie degenerative come l’Alzhemeir e il Parkinson, e per la comprernsione del meccanismo biologico alla base dell’invecchiamento”, aggiunge Lanza. L’obiettivo dell’azienda americana, infatti, è di applicare questa tecnica alla medicina creando cellule staminali umane – la base da cui poi si differenziano tutte le cellule del corpo – capaci di divenire i costituenti di cuore, neuroni, cellule del sangue. Puntando così a incrementare la riserva di cellule che possono essere utilizzate per la ricostruzione dei tessuti o nella terapia dei trapianti. E, in ultima analisi, a sfruttare questa tecnica di clonazione per colmare l’attuale carenza di organi.

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