Guerra in Congo: è un conflitto sulle risorse

guerra in congo

Novembre 2008, ancora la guerra in Congo. E’ calma apparente nel Nord Kivu, provincia all’estremità orientale della Repubblica democratica del Congo. Le truppe ribelli del generale Laurent Nkuda, leader del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), che si oppongono alle forze governative, circondano il capoluogo della regione, Goma. Aspettano solo un ordine per attaccare la città e stabilire anche qui il loro dominio. Nel frattempo Nkuda cerca di trattare con il governo di Kinshasa. Fino ad oggi la risposta è stata negativa: nessuna trattativa con chi sta creando un disastro umanitario. E proprio di questo si tratta: oltre un milione di civili, un quinto della popolazione totale, ha dovuto abbandonare le proprie case dopo gli attacchi e le violenze ripresi alla fine di agosto. Solo nell’ultima settimana sono 100 mila, il 60 per cento dei quali bambini, le persone in fuga. E hanno bisogno di tutto, cibo, acqua potabile, assistenza sanitaria, coperte mentre crescono i primi focolai di epidemie e si fanno difficili gli interventi delle organizzazioni umanitarie.

Per la terza volta è guerra in Congo

“Possiamo definirla la terza guerra africana”, spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. “E’ legata a un clima di instabilità generale nella regione dei Grandi Laghi e a una logica coloniale di conquista dei territori”. Per capire il perché  di questa ennesima guerra in Congo bisogna tornare al genocidio in Ruanda del 1994 tra hutu e tutsi. Al termine di quel conflitto, nel Nord Kivu (che confina con il Ruanda, il Burundi e il lago Tanganika), trovarono rifugio le milizie hutu responsabili dello sterminio. Nel 1998 una nuova guerra in Congo, con Ruanda e Uganda, ha fatto quattro milioni di morti e centinaia di migliaia di profughi per concludersi ufficialmente con gli accordi di pace del 2003.

Ma in realtà non si è mai smesso di combattere, neanche dopo le elezioni congolesi del 2006 che hanno visto vincere Joseph Kabila, e nonostante la presenza di 17 mila caschi blu della missione Monuc dell’Onu e gli accordi di pace di Goma del gennaio 2008. Il conflitto attuale vede, da una parte, Laurent Nkunda, ex generale dell’esercito e di etnia Tutsi, che accusa il governo di appoggiare militarmente le milizie hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr). E che per fermare le violenze chiede l’apertura di un dialogo e la revoca degli accordi stipulati dal Congo con Pechino, che affidano a ditte cinesi ingenti concessioni di sfruttamento minerario in cambio di infrastrutture. Sul fronte opposto c’è il presidente congolese Kabila che accusa il governo ruandese di essere il sostenitore principale dei ribelli di Nkunda.

Una miniera che fa gola al mondo, dai diamanti all’hi-tech

“E’ evidente in questa crisi il ruolo di Stati come Uganda e Ruanda, che mirano a fare del Congo una zona cuscinetto intorno ai propri confini per evitare che da lì partano offensive contro i propri governi”, continua Noury. Ma la posta in gioco non è solo politica. E lo si capisce andando a guardare bene nel sottosuolo del Nord Kivu: oro, diamanti, uranio, cassiterite, petrolio, gas. “Il coltan, lega ad alta conduzione usata nella fabbricazione dei cellulari, viene prelevato nell’est del Congo, passa per il Ruanda e da qui viene venduto in tutto il mondo. Sono evidenti, quindi, i vantaggi di una simile situazione di instabilità per molti paesi”.

Dietro lo scontro etnico, quindi, ci sarebbe il saccheggio di risorse. Lo sostiene anche una nota dei missionari della Rete Pace per il Congo: “I tutsi e gli hutu sono oggi rappresentati in tutte le istituzioni politiche sorte dalle elezioni, lavorano nelle imprese pubbliche e private e nelle organizzazioni umanitarie allo stesso titolo delle altre etnie del Congo. Il vero progetto di Nkunda potrebbe essere quello della destabilizzazione del paese attraverso la guerra….indebolire le varie popolazioni del Kivu e metterle in condizione di accettare la creazione di un nuovo Stato le cui risorse minerarie ed energetiche sarebbero sfruttate con ogni probabilità da chi sta finanziando questa nuova guerra”.

“Non è da trascurare la situazione politica in cui si è riacceso il conflitto: le istituzioni non esistono, la comunità internazionale ha favorito il dialogo inter-congolese e la firma di accordi di pace ma è mancato un vero investimento per la creazione di uno Stato forte e la presenza delle forze di pace è ridicola per un territorio in cui si danno battaglia molti gruppi armati”, conclude Noury. “E’ necessario che i leader mondiali esercitino la loro pressione sulle parti in conflitto e sui governi vicini, come il Ruanda”. Altrimenti la guerra in Congo non avrà mai fine.

La catastrofe umanitaria nel cuore dell’Africa

Mentre l’Unione europea sta considerando l’ipotesi di inviare proprie truppe in Congo, un convoglio umanitario dell’Onu è riuscito nei giorni scorsi ad arrivare a Rushturu, roccaforte dei ribelli, carico di medicine e acqua. La situazione resta sempre delicata. C’è chi fugge e attraversa la frontiera per andare in Ruanda e Uganda, chi trova riparo nella foresta o in zone difficili da raggiungere per gli operatori umanitari e chi nei campi profughi. Ma nemmeno qui si sta tranquilli. L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) fa sapere che circa 50 mila profughi, donne e bambini soprattutto, sono stati costretti dai ribelli ad abbandonare i campi per sfollati nei pressi di Rutshuru dove avevano trovato rifugio. La preoccupazione maggiore è per i bambini, molti dei quali rimasti soli ed esposti al rischio di sfruttamento, abusi, violenza, nonché di essere reclutati in gruppi armati.

Gravi violazioni dei diritti umani sono state commesse contro i civili a Goma dagli stessi soldati in fuga dell’esercito congolese: saccheggi, uccisioni e stupri. Come fa sapere Medici senza frontiere (Msf) oltre agli enormi bisogni della popolazione, come cibo, alloggio, accesso alle risorse idriche, cure mediche e protezione, c’è un alto rischio di epidemie. Ad ovest di Goma, sulla strada Goma-Sakè, gli operatori continuano a curare i pazienti colpiti da colera nei campi per sfollati e anche nei centri a Goma, Kitchanga e Minova. Nella scorsa settimana sono stati registrati  69 casi di colera nei quattro campi profughi intorno a Goma e 20 a Kitchanga. La guerra in Congo non è la sola a fare vittime.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here