Così la disinformazione fa crollare le vaccinazioni

La disinformazione produce i suoi frutti. Soprattutto quando si parla di vaccini. Nonostante la comunità scientifica ne abbia più volte confermato la sicurezza, l’idea che i vaccini facciano più danni che benefici è ancora dura a morire per molti. Come il presunto (e smentito) legame tra vaccini e autismo, sostenuto su Lancet da Andrew Wakefield, salvo poi essere espulso dall’ordine dei medici per truffa. A complicare la questione, e disorientare i cittadini, anche le decisioni di alcuni tribunali, che hanno dato ragione alle famiglie che accusavano i vaccini come i responsabili delle malattie dei propri figli. Il risultato? In Italia abbiamo assistito ad un crollo spaventoso delle vaccinazioni: fino a -25% per morbillo e rosolia. Una vicenda surreale che rischia di riportarci indietro di mezzo secolo, quando di molte malattie, oggi quasi sparite, si moriva giornalmente. Galileo ha approfondito la questione con Michele Conversano, presidente Società Italiana d’Igiene.

Professor Conversano, i dati sono allarmanti. Come si spiegano?
“Credo che i vaccini siano vittima del proprio successo. Le nostre mamme e nonne, avevano il terrore di epidemie come la poliomielite che provocava non solo morti, ma anche paralisi dei bambini, con effetti visibili, tangibili. Oggi invece, grazie ai vaccini, si è persa la percezione del rischio di gran parte delle malattie. Per questo motivo molte famiglie li ritengono ormai inutili. Mentre invece non sono affatto inutili, nemmeno per malattie come la polio. Basti pensare che esiste ancora in Siria e recentemente centinaia di siriani sono arrivati a Taranto, nella mia città. Non vaccinare significa esporre bambini a rischi per tutta la vita, in particolare se stanno in scuole dove la copertura vaccinale è bassa. Per non parlare dei viaggi all’estero: in molti paesi non è possibile andare senza adeguate vaccinazioni”.
 
Oltre alla presunta inutilità ci sono altre cause dietro questo crollo di vaccinazioni?
“Purtroppo sì. A parte le contrarietà di tipo culturale e religioso, si sono diffuse negli ultimi anni numerose convinzioni pseudoscientifiche: alcune sono assurde come il fatto che i vaccini possano fare diventare gay oppure sterili. Altre, invece, fanno presa su grandi problemi sociali come la relazione con l’autismo sbandierata dal medico Wakefield e da tempo smentita. D’altra parte non posso non comprendere le famiglie. I genitori vogliono essere sicuri che il vaccino serva al loro bambino, non allo Stato o ad altri. E quando ci sono casi drammatici si sente, purtroppo, il bisogno di dare la colpa a qualcuno o a qualcosa: i vaccini sono il nemico ideale”.

Anche gli scienziati sono in qualche modo responsabili di questo crollo? Magari per aver minimizzato o taciuto effetti collaterali reali?
“Intanto confesso che non mi piace parlare di ‘obbligo sanitario’ come se si trattasse di soldatini in attesa. La vaccinazione è un diritto, ma deve essere consapevole. Gli operatori sanitari hanno il dovere di rendere noti effetti positivi e negativi e ci deve essere il tempo per parlarne. Per quanto riguarda gli effetti negativi, sono tutti effetti locali, come febbre, dolore, indurimento. In casi estremi effetti neurologici, ma nella stragrande maggioranza dei casi solamente transitori. E quando ci sono stati reali effetti gravi è stato lo stesso Ministero ad aver cambiato strategia. Come accadde con il vaccino Sabin, che aveva pressoché eliminato la poliomelite dall’ Europa. Questo vaccino provocava in 1 caso su 600-700mila una paralisi da vaccino (circa uno ogni 2 anni). Quando il rischio del vaccino era diventato superiore a quello di contrarre la malattia, fu abbandonato e si iniziarono a usare virus uccisi. Ribadisco: è un dovere etico, morale e giuridico dire tutti i possibili effetti, siano essi positivi o negativi”.

Cosa si può fare per aumentare la fiducia nell’importanza delle vaccinazioni?
“Intanto mi piace pensare a cosa possiamo fare noi. Penso innanzitutto a servizi accreditati per poter spiegare rischi, vantaggi e svantaggi delle vaccinazioni e della non vaccinazione, coinvolgendo, come già si sta facendo, tutti i professionisti sanitari, dalle associazioni di pediatri ai medici. È poi importante comunicare in maniera diversa. Abbiamo costruito un sito (VaccinarSì). Nel primo anno puntavamo a raggiungere i 100mila contatti: abbiamo superato i 500mila, segno che c’è interesse. Potremmo anche portare casi shock per promuovere delle campagne informative, ma per dovere etico abbiamo preferito non farlo. Speriamo che non sia il ritorno di gravi epidemie a far risalire le coperture vaccinali”

Credits immagine: Daniel Paquet/Flickr

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