Tecnologia

Cosa faremo col 5G

Potrebbe suonare come un ossimoro: prossimità digitale. Esserci in quel luogo, ma non del tutto. O comunque in una versione incorporea. Un intervento chirurgico in remoto, per esempio, dove il medico che conduce l’operazione non è fisicamente nella stanza ma governa il braccio meccanico come se fosse chino sul paziente. Una scavatrice nei cunicoli di una miniera, che si muove seguendo le indicazioni dell’operatore come se questi si trovasse a cento metri sottoterra. Un sistema di diagnostica e riparazione a distanza di un treno in corsa. La guida remota di un veicolo a forte velocità. Un mondo di infinite possibilità, che si aprono se si riesce a ridurre il tempo di latenza tra l’evento e la sua rappresentazione digitale: tra gli otto e i dieci millisecondi. Cosa che, nei piani, dovrebbe essere possibile con l’arrivo e la diffusione del 5G. Le prime offerte commerciali potrebbero arrivare già nel 2020. E nel 2022, secondo l’ultima edizione del Mobility Report di Ericsson, potrebbero esserci già circa 500 milioni di abbonamenti e una copertura di circa il 15 per cento della popolazione mondiale, soprattutto nelle grandi metropoli e nelle aree fortemente urbanizzate.

Il Rapporto fotografa il panorama attuale sulla base delle misurazioni effettuate su centinaia di reti mobili, e si spinge a immaginare il futuro da qui a cinque anni sottolineando l’enorme crescita del traffico dati che, dicono dall’azienda svedese, di qui al 2022 aumenterà di otto volte rispetto a quello attuale. Una mole di traffico equivalente all’intera popolazione spagnola che usufruisce dello streaming video in HD 24 ore al giorno per un mese. “Gli abbonamenti 4G stanno aumentando più velocemente che mai, e al tempo stesso sta accelerando la diffusione della Voice Over LTE (il VOLTE, cioè le chiamate in alta definizione sulla rete 4G che consente anche la contemporanea condivisione di dati, ndr), e la crescita del traffico dati ha raggiunto soglie che non vedevamo dal 2013”, commenta infatti Niklas Heuveldop, Chief Strategy Officer e Head of Technology and Emerging Business di Ericsson. A trainare questa impennata sono soprattutto i video – con una fruizione al 90 per cento da smartphone, anziché da tablet o pc – che già oggi pesano per il 50 per cento sul traffico e che nel 2022 rappresenteranno il 75 per cento di tutti i dati in mobilità. Un’attività che in Europa occidentale, l’area che comprende anche l’Italia, richiederà almeno 22 giga al mese (oggi ne consumiamo 3 in media).

Inevitabile dunque che si punti al nuovo standard. Ma il 5G nasce soprattutto per sostenere la crescita e la diffusione dell’Internet of Things (IoT): tra cinque anni, sostengono gli esperti dell’azienda svedese, ci saranno almeno 18 miliardi di oggetti connessi tra sensori, terminali, contatori, macchine, dispositivi indossabili (oggi sono poco più di cinque miliardi). Nello short-range IoT – entro i 100 metri – la connessione è già ora assicurata da Wi-Fi, Bluetooth o il meno noto ZigBee. Ma per il cosiddetto wide-area IoT, il segmento che utilizza la connessione cellulare, saranno necessarie reti estremamente affidabili e potenti. Sia per il segmento del cosiddetto Massive IoT (ovvero le applicazioni di tipo industriale, come potrebbe essere la redistribuzione dell’energia sulla rete elettrica a seconda delle necessità: scarso volume di dati, dispositivi low-cost e bassa energia) sia, soprattutto, per il segmento Critical IoT (per esempio: un’operazione chirurgica in remoto), dove l’affidabilità deve essere massima, il volume di dati grandissimo, e il tempo di latenza minimo. Le prime sperimentazioni del 5G partiranno nel 2018, in occasione delle Olimpiadi in Corea del Sud. E l’impatto sul business potrebbe essere imponente: secondo il Mobility Report, il mercato potenziale del 5G nel settore dell’ICT potrebbe raggiungere, di qui a dieci anni, i 3,3 trilioni di dollari.

Elisa Manacorda

Giornalista, è direttrice di Galileo, che ha fondato nel 1996 con altri giornalisti e ricercatori. Scrive di scienza e tecnologia per le principali testate italiane. E’ docente al Master SGP della Sapienza Università di Roma, collabora con il Master in Comunicazione della Scienza dell'Università di Ferrara. Con Letizia Gabaglio è autrice di "Il Fattore X" sulla medicina di genere.

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