Il neutralino della discordia

Tutto ha inizio sabato 19 febbraio. Sulla prima pagina del New York Times si annuncia la scoperta da parte di un gruppo di fisici italiani guidati da Rita Bernabei di una particella bizzarra: pur pesando come cinquanta protoni, attraversa indisturbata la materia e si sottrae alle osservazioni degli scienziati. Eppure nei Laboratori del Gran Sasso (http://www.lngs.infn.it/lngs/htexts/dama/ ), protetti da 1400 metri di roccia, gli strumenti italiani sarebbero riusciti a intrappolare questo oggetto misterioso. L’articolo del quotidiano newyorkese lascia di stucco i fisici dell’Infn. “Avremmo preferito aspettare”, spiega Rita Bernabei. “Il risultato potrebbe avere implicazioni enormi e quindi avremmo voluto renderlo noto all’opinione pubblica solo dopo aver fatto le dovute verifiche”. Ma la comunità scientifica internazionale era a conoscenza dei progressi che da tre anni gli italiani stanno facendo nella caccia alle particelle superpesanti. Anzi, l’ipotesi più credibile è che siano stati proprio i fisici americani a suggerire al New York Times di occuparsi della vicenda. Un giusto omaggio ai risultati della concorrenza? Così era sembrato in un primo momento, ma le vicende dei giorni successivi hanno disegnato uno scenario completamente diverso.

Venerdì 25 febbraio i fisici della University of California di Berkeley demoliscono il risultato dei colleghi italiani. In un comunicato diffuso durante un convegno sulla materia oscura che si tiene a Marina del Rey, California, scrivono: il nostro esperimento Cdms ha una sensibilità senza eguali al mondo nel distinguere particelle appartenenti alla materia oscura, eppure finora non ha visto nulla. Conclusione: le misurazioni degli italiani devono essere sbagliate. Insomma, nel giro di una settimana i fisici americani hanno prima reso noto un risultato che l’Infn voleva tenere riservato e poi l’hanno etichettato come inattendibile.

“Un comportamento che ci lascia perplessi”, dice Enzo Iarocci, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. “Anche perché ha per protagonista una persona che consideriamo amica”. L’”amico” si chiama Bernard Sadoulet (http://www.physics.berkeley.edu/cgi-bin/directory.cgi?subroutine=singlefull&lsid=1002), fisico di fama internazionale che prima di trasferirsi a Berkeley aveva lavorato al Cern di Ginevra gomito a gomito con Carlo Rubbia. Qualche anno fa Sadoulet era stato scelto dall’Infn per far parte di un comitato internazionale di saggi che avrebbe dovuto valutare la bontà degli esperimenti realizzati nei Laboratori del Gran Sasso. “Per tre anni gli ho dovuto fornire informazioni dettagliate sul nostro lavoro”, dice Rita Bernabei. “Lui sa tutto del nostro esperimento mentre solo in questi giorni cominciano ad arrivarci informazioni sul suo Cdms”.

Ma in cosa consiste la scoperta, oggetto della disputa italo-americana? L’Universo che oggi conosciamo è solo una piccola parte di quello che potrebbe essere in realtà. La massa di tutte le stelle e i pianeti messi insieme costituirebbe infatti appena il 20 per cento della massa del cosmo. Il resto? Secondo gli astronomi è “materia oscura”. Ovvero un insieme di particelle che non possiamo vedere né toccare. Invisibili perché non assorbono né riemettono luce; inafferrabili perché passano indisturbate attraverso la materia ordinaria, senza lasciare traccia o quasi. La difficile caccia a queste particelle fantasma impegna fisici e astronomi già da anni, ma ora il team di scienziati italiani e cinesi del Gran Sasso, impegnati nell’esperimento Dama (Dark Matter direct search) sembra averne finalmente trovato traccia. Si chiamano wimp, acronimo inglese per “particelle pesanti a interazione debole”, già ribattezzate però “neutralini” da Rita Bernabei, direttrice del gruppo di ricerca.

Nei laboratori sotterranei del Gran Sasso un rivelatore a scintillazione conta da quasi quattro anni il passaggio dei presunti neutralini. Sebbene siano inafferrabili, infatti, di tanto in tanto queste particelle possono interagire con la materia ordinaria. Per avere un’idea di quanto siano però rari questi eventi basta pensare che, nonostante ogni secondo un milione di wimp attraversi una superficie grande quanto un’unghia di una mano, in quattro anni di osservazione gli scienziati hanno osservato solo un migliaio di eventi significativi.

Il cuore dell’esperimento è il rivelatore: si tratta di nove cristalli di ioduro di sodio, progettati proprio per Dama, ognuno dei quali pesa 9,7 chili e costa circa 40 milioni di lire. Ogni volta che un neutralino interagisce con uno dei cristalli, un lampo di luce viene emesso e contato dai ricercatori.

L’analisi dei dati raccolti al Gran Sasso mostra però che non tutti i periodi dell’anno sono egualmente “fertili” per le interazioni. Anzi, esiste una precisa oscillazione del numero di eventi registrati: il massimo si ha in giugno, il minimo in dicembre. Ogni anno. Ed è proprio questo il punto che ha convinto i ricercatori di aver messo le mani su una scoperta da Nobel: la Terra ruota intorno al Sole, e insieme ruotano, con tutto il Sistema Solare, intorno al centro della nostra galassia, la Via Lattea. Ma il tutto avverrebbe attraverso un’imponente nube invisibile di neutralini, ovvero sotto una pioggia continua di queste particelle. Ora, mentre in dicembre la Terra si muove nello stesso verso del Sistema Solare, a giugno si muove “contromano”. E, esattamente per lo stesso motivo per cui, quando piove, ci si bagna di più a correre contro vento, il flusso di neutralini registrati sul nostro pianeta è maggiore a giugno. In altri termini, gli scienziati italiani hanno individuato la presenza di un’enorme nube oscura attraverso cui tutta la nostra galassia sembra muoversi.

Per stessa ammissione di Sadoulet gli esperimenti del Gran Sasso e Berkeley usano tecniche molto diverse per dare la caccia alle particelle che costituiscono la materia oscura. Rispetto al rivelatore della Bernabei, Cdms ha una quantità assai inferiore di materiale sensibile alle particelle e sta eseguendo misurazioni da molto meno tempo. Inoltre si trova a soli 10 metri sotto terra, contro i 1400 metri di roccia che proteggono l’esperimento italiano. Eppure Sadoulet assicura che il suo esperimento è migliore grazie a una innovativa tecnologia di rivelazione. “Se è così contento del suo apparato”, fanno notare all’Infn, “non si capisce perché voglia modificarlo per farlo somigliare sempre più a quello installato nei Laboratori del Gran Sasso. Sadoulet infatti ha annunciato di voler trasferire Cdms in una miniera del Minnesota e di volerlo dotare di una quantità di materiale sensibile pari a quella dell’esperimento italiano.

Alla luce dei fatti, forse non è stata una buona idea rivolgersi a Bernard Sadoulet come “valutatore” degli esperimenti del Gran Sasso. “Non è così”, dice Alessandro Bettini, direttore dei Laboratori del Gran Sasso. “Sadoulet l’abbiamo scelto noi e non ce ne pentiamo. E poi è normale che quando ci si avvicina a risultati tanto importanti la competizione tra scienziati diventi esasperata”.

Bernard Sadoulet, comunque, non rimarrà a lungo nello staff dell’Infn. Persino lui ha avuto il buon gusto di riconoscere che si è verificato un caso di conflitto di interessi.

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