E se l’embrione muore?

Gli embrioni umani congelati prima della legge 40 e non ancora trasferiti devono nascere. E’ questo l’appello implicito nel discusso documento che il Comitato Nazionale di Bioetica sta ancora redigendo e che sarà illustrato nell’assemblea plenaria, il 18 novembre prossimo. Ed è così che l’ istituto dell’Adozione per la Nascita (Apn) diventerà una proposta concreta ed una sfida politica e giuridica per tutti. Un’ ipotesi originale a dir poco, ma ispirata solo in parte alle legislazioni di altri Paesi europei, tra cui Francia, Gran Bretagna e Spagna. Qui, infatti, vige la supremazia della volontà delle coppie, che se impossibilitate a trasferire in utero gli embrioni, possono decidere di donarli alla ricerca, di farli adottare o di distruggerli. Il nostro Comitato Nazionale di Bioetica, invece, attribuendo all’embrione, fin dal concepimento, una personalità giuridica ed una tutela autonoma, ne immagina solo l’adozione per la nascita. Probabilmente disposta da un tribunale, indipendentemente da una esplicita dichiarazione o dal consenso dei genitori. Questi, una volta rinunciato al trasferimento, perderebbero la patria potestà e qualsiasi diritto sulla potenziale progenie. I nati, poi, sarebbero considerati figli naturali, legittimi e non adottivi della coppia ricevente. Un caso tutto italiano, in cui il bene supremo della vita ad ogni costo, prevale su ogni cosa e a discapito di tutto. E, nella prospettiva di partenza del Cnb, si tratta comunque di una proposta d’avanguardia, che ha messo in minoranza le perplessità di coloro, che più dogmaticamente, preferirebbero lasciare gli embrioni in azoto liquido piuttosto che scongelarli, per non incorrere nel rischio di farne degenerare le cellule vitali. Mentre l’Istituto Superiore di Sanità, in ritardo di mesi con l’applicazione della legge 40, ha intrapreso la conta degli embrioni conservati e di quelli abbandonati nei centri di fecondazione assistita (al momento non sarebbero che poche centinaia) l’opzione sulla loro destinazione alla ricerca scientifica sembra poter, teoricamente, riaffiorare. Va in questa direzione l’ipotesi sostenuta dalla filosofa genovese Luisella Battaglia, nota anche per le sue tesi di bioetica animalista e membro del Comitato Nazionale di Bioetica. La professoressa ha, infatti, sviluppato il ragionamento sul diritto alla vita dell’embrione-persona, introducendo l’altra faccia della medaglia: la morte dell’embrione. “Se i biologi ed i genetisti ci sanno dire quando un embrione è morto”, incalza Battaglia, “noi potremmo immaginare che quell’embrione possa donare il corrispettivo dei suoi organi, ovvero, nel caso specifico, le sue cellule. Questo è ciò che accade per analogia con i minori, secondo la normativa sull’espianto di organi”. Ma quando muore un embrione? Secondo la letteratura corrente, la vitalità dell’embrione si verifica entro poche ore dal concepimento o entro 24/48 ore dallo scongelamento. Se il suo sviluppo cellulare non prosegue regolarmente, non potrà mai diventare un feto e, quindi, in questi casi, non viene trasferito in utero. Inoltre, se la qualità morfologica è scadente, a maggior ragione, non può neanche essere congelato. Ma se non sono adatti per vivere, possono essere utilizzati per la ricerca? “Nella ricerca di base”, commenta Maurizio Zuccotti, professore associato presso la facoltà di Medicina dell’Università di Parma e già ricercatore in embriologia e biologia dello sviluppo, “anche una sola cellula prelevata da un embrione umano pre-impianto, nonostante che sia stato dichiarato inadatto allo sviluppo, può darci informazioni utili. La stessa cosa non si potrebbe affermare per gli embrioni animali o di topo. E’ chiaro”, prosegue Zuccotti, “che la qualità di partenza dovrà essere accuratamente descritta nella ricerca, ma davvero le cellule embrionali umane, anche di cattiva qualità, sono estremamente preziose”.Il Comitato Nazionale di Bioetica ha tuttavia già deciso di discutere separatamente il documento sull’adozione degli embrioni da quello sulla loro destinazione alla ricerca scientifica.

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