Il batterio di Troia

Inviare un infiltrato nel tumore per farne un bersaglio del sistema immunitario. Fare poi in modo che il nostro agente non venga bloccato prima di entrare in azione. E’ il piano riuscito ai ricercatori guidati da Maria Rescigno dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ifom-Ieo) di Milano che da qualche anno stanno utilizzando il batterio della salmonellosi per scatenare una risposta immunitaria contro i tumori. E ora stanno mettendo a punto una sorta di vaccino nel caso di recidive o metastasi.

Un primo risultato era arrivato circa quattro anni fa. Dopo aver selezionato un ceppo del batterio innocuo per l’essere umano (perché incapace di riprodursi in vivo) Rescigno e collaboratori lo avevano iniettato all’interno del cancro. È così che le cellule tumorale, infettate, erano divenute un bersaglio per il sistema immunitario. “Questo tipo di risposta c’è sempre”, spiega Maria Rescigno, “il limite sta piuttosto nel fatto che si infettano anche cellule sane vicine al tumore, sebbene in una misura accettabile, anche perché poi il tessuto si rigenera”.

Oggi il gruppo di Rescigno ha potenziato questo attacco mettendo a punto una sorta di “vaccino alla salmonella”. Per riuscirci, hanno dovuto superare un bell’ostacolo, spiega l’immunologa: “Quando somministriamo la salmonella per la via orale ci sono due tipi di risposte: una generalizzata a tutto l’organismo, che è quella che ci interessa, e una locale, nelle Placche del Peyer”. In queste regioni particolari del nostro intestino la presenza del batterio innesca la produzione di anticorpi che, in futuro, ne impediranno l’azione infettante. E’ la classica reazione a un vaccino. “Noi però volevamo esattamente l’opposto”, continua Rescigno, “ovvero che la salmonella continuasse a poter infettare e a provocare la risposta immunitaria generalizzata, quella in grado di uccidere le cellule tumorali”.  Ed è questo che i ricercatori hanno ottenuto: un ceppo di salmonella che non riesce a entrare nelle Placche del  Peyer, e che può quindi essere riutilizzata nel tempo, se il tumore si dovesse ripresentare.

La sperimentazione clinica del vaccino va avanti da un da un anno, ma ne serviranno almeno altri cinque. E per un obiettivo raggiunto ce ne è già uno nuovo: istruire il sistema immunitario ad attaccare direttamente il tumore. Questo potrebbe essere possibile utilizzando la salmonella come “cavallo di troia”, inserendo al suo interno una proteina specifica del tumore. Quando il sistema immunitario attaccherà il batterio, schederà come nemica anche quella proteina. E così attaccherà anche le cellule tumorali, la cui presenza, normalmente, non lo allarma. “Come vediamo, la medicina punta sempre meno a curare con una sola terapia”, conclude la ricercatrice, “per questo, prima abbiamo voluto capire come la salmonella interagiva con il tumore, poi come poteva essere utilizzata per un vaccino. Ora cercheremo di fondere i risultati di queste due ricerche, per generare un ceppo del batterio che sia tumore specifico e riutilizzabile nel tempo”.

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