Addio al secondo intercalare: cos’è e come cambierà la misura del tempo

tempo secondo intercalare
(Foto via Pixabay)

Il primo è stato Numa Pompilio. Il leggendario successore di Romolo, secondo quanto si tramanda, avrebbe attuato la prima riforma del calendario per adeguare quello in vigore a Roma – del tutto sballato – ai ritmi delle stagioni. Per far quadrare i conti, Numa escogitò un mese intercalare (Mercedonio) da inserire ogni due o tre anni dopo febbraio.

È stata poi la volta di Giulio Cesare, che riformò il calendario numano con un unico, brusco riallineamento (un anno di 445 giorni!) e abolendo il mese intercalare: da quel momento bastava inserire ogni quattro anni un giorno intercalare (quello che ancora oggi è il 29 febbraio negli anni bisestili). Infine papa Gregorio XIII, nel 1582 (ancora a Roma!), ritoccò il calendario giuliano: il calendario gregoriano è quello ancora in uso in quasi tutto il mondo. Abbiamo raggiunto così la massima aderenza al ciclo regolare dell’orbita terrestre.

Tempi umani e ritmi astronomici

Oggi le parti si sono in un certo senso invertite: l’esattezza degli orologi atomici – cioè dei tempi umani – è addirittura superiore a quella dei ritmi astronomici. Si è deciso allora un adeguamento “al contrario”, per rendere meno preciso il nostro calendario mantenendolo incardinato a quello della Terra. Nel 1972 è nato così il secondo intercalare, che viene aggiunto – all’occorrenza e non periodicamente – all’ultimo giorno di giugno o di dicembre. È un po’ come dire “noi siamo più precisi ma vogliamo comunque che il nostro tempo sia quello del nostro pianeta”.

Negli anni, molte voci si sono levate contro il secondo intercalare, che crea seri fastidi ai sistemi informatici di tutto il mondo. Il 18 novembre scorso, con una decisione imprevista, la Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM) ha stabilito che a partire dal 2035 la prassi del secondo intercalare sarà sospesa (anche se non necessariamente abolita).

La questione ha poca rilevanza per la vita delle persone, che nella stragrande maggioranza non si sono mai accorte dei secondi intercalari, ma ha un significato simbolico epocale: per la prima volta nella storia l’umanità potrebbe decidere, in nome della scienza e della tecnologia, di liberarsi dalle imperfezioni della natura, di togliere alla madre Terra il diritto di dettarci il suo tempo.

Per un secondo in più

Per ripercorrere la storia del secondo intercalare si riporta di seguito, per gentile concessione di Codice Edizioni, un estratto dal libro Le misure del tempo di Paolo Gangemi (pp.263, 2021).

La maggior parte delle misure del tempo non sono altro che tentativi di ingabbiare i cicli astronomici all’interno di cornici numeriche adatte agli usi dell’umanità. Un esempio tipico è l’anno bisestile, escogitato per allineare i nostri calendari con i tempi del Sole: fondamentalmente il problema è che il tempo necessario alla Terra a descrivere una rivoluzione non è un multiplo intero di quello necessario a compiere una rotazione – né si vede perché dovrebbe esserlo.

Un problema analogo si è presentato per tenere il conto esatto dei giorni nonostante la loro durata variabile; anche se come andamento generale la Terra sta rallentando, la lunghezza dei singoli giorni è irregolare perché dipende dall’incostanza dei fenomeni sismici e climatici, oltre che dall’orbita ellittica della Luna per cui la sua distanza varia di giorno in giorno, e cambia dunque anche l’intensità della sua attrazione gravitazionale.

Fino agli anni Cinquanta queste variazioni non erano neanche prese in considerazione: il giorno era il giorno solare e basta. Tutto è cambiato intorno al 1955 con la nascita degli orologi atomici, precisi fino al millisecondo e oltre, in grado quindi di considerare le minime differenze nella durata dei giorni. Per misurarle si usa la tecnica chiamata interferometria a base molto ampia (VLBI, Very Long Baseline Interferometry). È basata sull’osservazione di quasar situati a distanza di miliardi di anni luce dalla Terra, tanto da poter essere considerati fermi rispetto a noi. I loro segnali radio vengono recepiti da radiotelescopi che, essendo posizionati in diverse località in tutta la Terra, li ricevono con una lievissima differenza di tempo, misurabile grazie appunto agli orologi atomici. Confrontando le ricezioni di diversi segnali in determinati intervalli temporali si risale a come sono cambiate le posizioni reciproche dei telescopi rispetto al sistema di riferimento dei quasar: si ottiene così la velocità di rotazione della Terra e quindi la durata esatta del giorno. Il risultato è il tempo universale (UT, Universal Time), che nella sua versione UT1 è oggi il riferimento astronomico internazionale.

Parallelamente, nel 1955 il Bureau International de l’Heure (BIH) di Parigi ha adottato un tempo atomico (che dal 1975 si chiama TAI, dal francese temps atomique international): un tempo scandito solo dagli orologi atomici (oggi più di 400, sparsi in oltre 50 laboratori in tutto il mondo) e quindi indipendente dal giorno astronomico.

Nel 1960 è stato istituito il tempo coordinato universale, abbreviato ufficialmente in UTC (al momento dell’ufficializzazione del nome, nel 1967, i francesi non volevano accettare l’acronimo inglese CUT, da Coordinated Universal Time, quindi con una bizzarra mediazione è stato scelto il compromesso UTC che non corrisponde a nessuna delle due lingue).

La funzione dell’UTC, diventato oggi il tempo universale riconosciuto a livello scientifico, è coniugare l’UT1 con il TAI. In altre parole, l’UTC è misurato con gli orologi atomici del TAI, ma tiene conto anche delle irregolarità dei fenomeni astronomici registrate dall’UT1. E si adegua di conseguenza: a differenza del TAI, non si sgancia quindi dalla rotazione terrestre.

Per realizzare questo compromesso, all’inizio il BIH adottava un espediente singolare: ogni anno riaggiustava la durata del secondo in modo che il giorno medio per quell’anno durasse esattamente 86.400 secondi. Questo metodo però presentava diversi inconvenienti: da un punto di vista teorico appariva vagamente truffaldino, ma soprattutto, dal punto di vista pratico, costringeva gli orologi atomici di tutto il mondo a risintonizzarsi ogni anno. Inoltre, la durata media del giorno era impossibile da prevedere con esattezza, quindi in ogni caso restava un’imprecisione.

Così in seguito il BIH ha stabilito di tenere fissa la lunghezza del secondo, con l’inserimento di un secondo intercalare all’occorrenza. Proprio come nel caso degli anni bisestili, dunque, con la differenza che il problema da un lato è meno importante da un punto di vista pratico, visto che si parla di millisecondi, ma dall’altro è più complicato da risolvere: mentre gli anni sono sostanzialmente stabili (l’orbita della Terra risente delle attrazioni gravitazionali degli altri pianeti, ma in misura trascurabile), le variazioni nella durata del giorno sono imprevedibili. Per esempio il 6 novembre 1989 è durato 24 ore e 0,0019733 secondi (1,9733 millisecondi), ma il giorno prima 24 ore e 1,7444 millisecondi e il giorno dopo 24 ore e 2,2541 millisecondi. Dal 1989 al 1998 tutti i giorni hanno superato le 24 ore, ma il giorno più lungo degli ultimi 40 anni è stato il 1° febbraio 1983, durato 24 ore e 3,57 millisecondi. In alcuni casi, al contrario, la durata può essere ancora adesso inferiore alle 24 ore: il giorno più breve degli ultimi 40 anni è stato il 19 luglio 2020, con 23 ore, 59 minuti e 59,9985399 secondi (24 ore meno 1,46 millisecondi).

Se, come succede spesso, in un anno la maggior parte dei giorni dura circa un millisecondo in più, alla fine dell’anno la durata in eccesso avrà raggiunto i 300 o 400 millisecondi, e dopo tre o quattro anni avrà superato un secondo: da qui la necessità di allungare l’anno con un secondo intercalare. A causa delle irregolarità nella durata del giorno, i secondi intercalari non vengono inseriti secondo uno schema fisso, come si fa per gli anni bisestili, ma in base alle osservazioni astronomiche, tenendo conto dei millisecondi in eccesso che si accumulano via via, ma anche dei secondi intercalari che sono stati inseriti in precedenza e che ogni volta hanno azzerato la differenza; in nessun momento comunque la durata dell’anno sarà perfettamente esatta: bisognerebbe inserire anche i millisecondi intercalari, ma sarebbe veramente troppo. […]

La competenza sulla decisione in merito, in origine del BIH, è passata nel 1988 all’International Earth Rotation and Reference Systems Service (IERS) – anch’esso con sede a Parigi, ma con l’inglese come lingua ufficiale (forse perché alla fine degli anni Ottanta l’uso del francese come lingua internazionale era già scemato rispetto a vent’anni prima).

Il secondo intercalare è stato inserito per la prima volta il 30 giugno 1972: alle 23:59:59 non sono seguite le 00:00:00 del 1° luglio, ma le 23:59:60 del 30 giugno. Un altro secondo è stato inserito alla fine dello stesso anno, alle 23:59:59 del 31 dicembre. Il 1972 è stato perciò l’unico anno con 2 secondi in più. Ed essendo un anno bisestile, è stato anche l’anno più lungo in tempi moderni.

Un singolo secondo intercalare invece è stato inserito varie altre volte, sempre alla fine del 30 giugno o del 31 dicembre. In teoria, nel caso improbabile di lunghi periodi di giorni più corti di 24 ore, è previsto anche l’inserimento di secondi intercalari negativi, cioè di secondi da sottrarre anziché aggiungere, ma non si è mai verificata questa eventualità.

A differenza degli anni bisestili, nei quali il 29 febbraio inizia in ogni luogo alla mezzanotte del 28 febbraio nel fuso orario locale, i secondi intercalari sono inseriti simultaneamente in tutto il mondo, in base all’ora di Greenwich. Quindi a Londra il secondo in più è sempre quello delle 23:59:60, ma a New York è alle 18:59:60 e a Tokyo alle 08:59:60. Perciò il secondo delle 23:59:60 del 31 dicembre 1972 è stato inserito a Roma alle 00:59:60 del 1° gennaio 1973 (così come era già iniziato il 1973 in tutte le zone a est di Greenwich, per cui il 1972 ha avuto 2 secondi intercalari solo nell’emisfero occidentale).

Per circa 30 anni i secondi intercalari sono stati inseriti quasi ogni anno: fra il 1973 e il 1998 la durata in eccesso dell’anno è stata di circa 770 millisecondi, il che corrisponde più o meno a 3 secondi intercalari ogni 4 anni. In seguito, per motivi non del tutto chiari, la durata del giorno ha iniziato a diminuire, pur restando superiore alle 24 ore: l’eccesso fra il 1999 e il 2019 è stato in media di soli 280 millisecondi. Così i secondi intercalari sono andati rarefacendosi, e fra il 1999 e il 2004 non ne è stato inserito nessuno.

L’ultimo secondo intercalare, finora, è stato aggiunto il 31 dicembre 2016. E forse non solo finora. Già da qualche anno infatti si sono levate voci favorevoli ad abolirlo. Il motivo principale è che costringe i programmatori di computer di tutto il mondo a modificare gli orari ogni volta che si aggiunge un secondo, con disagi a cascata anche per le telecomunicazioni, i sistemi bancari, i navigatori satellitari e molti altri ambiti. Per di più non in modo regolare come per gli anni bisestili, né come eccezione episodica come per il millennium bug, ma ripetutamente e con una cadenza imprevedibile: una complicazione inutile se si pensa che serve solo per tenere il passo con la rotazione della Terra quando le differenze di millisecondi, o anche di qualche secondo, sono irrisorie ai fini della vita quotidiana della popolazione. Perciò nel 2003 un gruppo di esperti dell’Ufficio Internazionale dei Pesi e delle Misure (BIPM, Bureau International des Poids et Mesures) ha organizzato un incontro a Torino dal quale sono emerse due proposte alternative. La prima consiste nell’abolire semplicemente il secondo intercalare, sganciando definitivamente la misura del giorno dai cicli astronomici e affidandola solo ai precisissimi orologi atomici; la seconda invece prevede di mantenere come riferimento il giorno terrestre, ma di allineare il tempo astronomico e quello atomico a un tasso molto minore: non ogni volta che la differenza fra il giorno terrestre e quello atomico si avvicina a un secondo, cioè in media ogni uno o due anni, ma quando raggiungerà un’ora “nel futuro remoto”, cioè fra qualche millennio. Per la popolazione generale l’inserzione di un’ora aggiuntiva sarebbe più scioccante rispetto al secondo di cui pochi si accorgono, ma quello che disturba i sistemi informatici è il numero di discontinuità, non la loro entità.

D’altra parte, gli antiabolizionisti ribattono che finora i programmatori sono sempre riusciti a organizzarsi per adattarsi ai secondi intercalari senza eccessive difficoltà, e tutto lascia pensare che sarà così anche in futuro. Mantenere l’allineamento con la rotazione terrestre è invece l’unico modo per assicurare una continuità nella misura del tempo, coerente con le definizioni e con gli usi consueti. Ma non è solo una questione di eleganza teorica: se si disaccoppiasse il giorno degli orologi da quello della Terra, gli astronomi dovrebbero risolvere problemi tecnici maggiori di quelli che affrontano attualmente i programmatori.

Dietro queste posizioni c’è anche – come spesso succede – una questione di potere. Il fronte degli abolizionisti è guidato dagli Stati Uniti, sostenuti dalla Cina e da alcuni Paesi europei. Sul versante opposto, il capofila è il Regno Unito, spalleggiato dalla Russia, dal Canada e da molte altre nazioni. È comprensibile che i britannici spingano per il mantenimento dello status quo, cioè della fedeltà al giorno astronomico: il computo del tempo resterebbe così ancorato, con un legame ormai debole ma significativo dal punto di vista simbolico, al riferimento storico del meridiano di Greenwich. Viceversa gli americani, forti della loro superiorità tecnologica, vorrebbero imporre l’ora “oggettiva” degli orologi atomici al resto del mondo, compresa la loro vecchia madrepatria. Anche in questo caso è in un certo senso una questione di nazionalismi, non futile come la disputa linguistica sul tempo coordinato universale ma più sostanziale. […]

*Paolo Gangemi, matematico e giornalista scientifico, è autore di diversi libri di divulgazione creativa.