Anche Einstein si sbagliava

È sempre stato lì, sotto gli occhi di tutti, in bella vista, esposto agli Albert Einstein Archives di Gerusalemme. È addirittura consultabile gratuitamente sul sito web del museo. Eppure, finora nessuno si era ancora accorto della sua importanza. Si tratta di un manoscritto autografo di Albert Einstein, in cui il fisico propone la sua soluzione al problema cosmologico più importante di tutti: l’origine e la natura dell’Universo. Il documento risale al 1931 e dimostra inconfutabilmente la riluttanza di Einstein ad accettare la teoria del Big Bang in virtù di una spiegazione alternativa, in cui l’Universo fosse in eterna e stabile espansione. La cosiddetta idea dello stato stazionario. Il manoscritto, racconta Davide Castelvecchi su Nature, era stato erroneamente classificato come prima bozza di un altro lavoro del fisico, ma in realtà non è così: a scoprirlo è stato Cormac O’Raifeartaigh, fisico del Waterford Insitute of Technology irlandese, che racconta di “essere quasi caduto dalla sedia” per lo stupore quando si è reso conto del vero contenuto del documento. Assieme alla sua équipe, O’Raifeartaigh ha analizzato attentamente lo scritto di Einstein e ne ha pubblicato una traduzione in inglese sul sito di pre-print arXiv.

“È ben noto”, scrive lo scienziato sul suo blog, “che durante gli anni cinquanta e sessanta ci fu una grande battaglia di idee tra i teorici dello stato stazionario e quelli che invece sostenevano l’idea del Big Bang”. In realtà, le prime evidenze sperimentali della grande esplosione erano state già raccolte negli anni venti, quando l’astronomo Edwin Hubble scoprì che le galassie si stavano allontanando l’una dall’altra e che lo Spazio stesso fosse in espansione. Osservazioni che implicavano un momento passato in cui tutta la materia dell’Universo fosse compressa in un “brodo primordiale” denso e caldissimo. Nonostante ciò, negli anni quaranta il fisico Fred Hoyle propose, insieme ai colleghi Hermann Bondi e Thomas Gold, una teoria alternativa, secondo la quale l’Universo sarebbe stato da sempre e per sempre in fase di espansione (una sorta di espansione stazionaria, donde il nome della teoria). Affinché in uno scenario simile la densità di materia restasse costante, Hoyle pensò che le particelle elementari spuntassero spontaneamente nello Spazio, fondendosi poi per formare stelle e galassie e riempire i buchi generati dall’espansione continua.

La teoria di Hoyle e colleghi, comunque, non trovò troppo credito nella comunità scientifica (lo scienziato ne ha proposto una versione rivisitata negli anni novanta, il cosiddetto modello quasi-stazionario, che ha avuto sorte più o meno simile). Viene da chiedersi cosa sarebbe successo se il fisico avesse dato un’occhiata al manoscritto di Einstein, che proponeva un’idea molto vicina alla sua ed era stato scritto dieci anni prima. Racconta O’Raifeartaigh che il documento non fu mai pubblicato perché “il modello non funzionava, cioè conteneva un errore che porta a una soluzione nulla, cioè a un Universo privo di materia. All’inizio dovette sembrare credibile al suo autore, che non si accorse di una svista nei calcoli”. Dopo qualche tempo, comunque, Einstein dovette ricredersi, come testimoniano le correzioni sul manoscritto, eseguite con una penna di colore diverso. Resosi conto dell’errore, il fisico accantonò l’idea e si dedicò ad altro, tanto che nei lavori successivi non si trova alcuna menzione della teoria dello stato stazionario. Anche se, comunque, continuò sempre a dubitare dell’idea del Big Bang e del suo accenno implicito a un momento quasi mistico di creazione.

Via: Wired.it

Credits immagine: ThomasThomas/Flickr

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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