Categorie: Vita

Anche le piante hanno le “orecchie”

Esclusi gli Ent de Il Signore degli Anelli e qualche altro caso letterario, gli alberi non possono udire i suoni. Eppure sono la prova che anche senza timpani e sistema nervoso si può rispondere agli stimoli sonori. Uno studio ha infatti dimostrato che i rumori intensi emessi dalle attività umane modificano il ritmo di vita degli animali da cui dipende la riproduzione di alcune piante. Scoiattoli, topi, uccelli – tutte forme di vita essenziali per il trasporto del polline e la distribuzione dei semi – lavorano più o meno assiduamente a seconda del background sonoro, innescando un effetto domino con ricadute sulle future generazioni di arbusti e alberi.

Lo studio, condotto dal National Evolutionary Synthesis Centre di Durham (North Carolina) e pubblicato su Proceedings of the Royal Society B, prende le mosse da un dato già dimostrato: vicino a siti rumorosi alcuni animali aumentano di numero, mentre altri diminuiscono. Per vedere se questo avesse degli effetti sul mondo vegetale, i ricercatori, guidati da Clinton Francis, hanno allestito due esperimenti nella riserva di Rattlesnake Canyon (New Mexico), scelta proprio per via del baccano legato all’attività di estrazione del gas naturale.

Nel primo esperimento sono state preparate diverse aiuole artificiali, contenenti riproduzioni dell’Ipomopsis aggregata, un tipico fiore spontaneo dell’America del Nord. Le finte corolle sono state riempite con un polline creato in laboratorio e con acqua zuccherata (un surrogato del nettare). Tra le frequentazioni degli impollinatori, quella del colibrì dal mento nero (Archilochus alexandri) ha fornito i dati più interessanti. Le sue visite ai siti più rumorosi, infatti, sono state 5 volte più frequenti a quelle ai siti tranquilli. “I colibrì dal mento nero preferiscono posti più rumorosi perché il loro predatore naturale, una specie di ghiandaia, tende a evitarli”, spiega Francis. E dal momento che questi uccelli sono efficienti impollinatori, i fiori che sono più propensi a visitare (ovvero quelli cresciuti dove il “volume” è più alto) possono sperare in una riproduzione agevolata.

Il secondo esperimento aveva come protagonisti il pino del Colorado (Pinus edulis) e il topo, l’animale più ghiotto dei suoi semi – che i ricercatori hanno abbondantemente sparso sotto alcuni alberi in osservazione. Monitorando con telecamere mobili il passaggio dei roditori, è risultata una loro predilezione per i luoghi di ristorazione più rumorosi. Ma, dato che i semi ingeriti non sopravvivono alla digestione, questi ambienti possono ritenersi i più sfavorevoli alla germinazione e quindi alla riproduzione dei pini. Le implicazioni dell’inquinamento acustico sulla vegetazione sono state poi confermate da conteggi del numero di pini del Colorado, risultati più abbondanti dove regna la quiete. “Le conseguenze del rumore sulle piante potrebbero manifestasi più a lungo termine del previsto”, conclude Francis. “Meno semi in aree più colpite dal rumore potrebbero significare, tra molti anni, un diradamento della foresta di pini”.

Riferimento: Proceedings of the Royal Society B, 10.1098/rspb.2012.0230

Nell’immagine: Ipomopsis aggregata (credit: Walter Siegmund, via Wikipedia)

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