Vita

Anguille intossicate, i metalli pesanti si accumulano nelle ovaie

Da tempo immemorabile le anguille intraprendono un viaggio lunghissimo dalla foce di fiumi d’Europa e Nord Africa al mar dei Sargassi, per riprodursi. Ma l’impresa, una traversata di 6 mila chilometri, si fa sempre meno fruttuosa. Da oltre quarant’anni, infatti, continua a calare il numero di leptocefali, le larve di questo pesce, che ogni anno tornano in Europa, e in Italia nella foce del Po. Dagli anni Ottanta a oggi è stato un vero tracollo: un calo del 90%. Un declino di cui si parla poco e che tra le sue cause avrebbe l’inquinamento dei fiumi dove questi animali trascorrono la maggior parte della loro vita. Fiumi inquinati (non solo) da metalli pesanti, sostanze tossiche che penetrano nel corpo della anguille, mettendone a rischio la fecondità e poi la vitalità delle larve. A raccontarlo sulle pagine di Pnas, sono i ricercatori dell’Università di Saskatchewan in Canada che hanno studiato le anguille durante il periodo della riproduzione e della deposizione di uova. “Pochi sanno quanto sia precario lo stato delle anguille europee”, racconta l’eco-tossicologo Markus Brinkmann, autore dello studio, “e c’è stata una drammatica riduzione delle anguille che ritornano qui negli ultimi 40 anni”.

L’incredibile viaggio delle anguille

Se oggi l’anguilla (Anguilla anguilla) è un pesce criticamente minacciato, fino a quarant’anni fa lo si incontrava abbondantemente nei fiumi e nei laghi d’Europa. Sono pesci che possono vivere fino a ottant’anni. Una volta raggiunta la maturità sessuale la loro livrea si inargenta. Ma per accoppiarsi e deporre le uova, ovunque si trovino, devono tutte intraprendere un lungo viaggio verso il Mar dei Sargassi, che, da buoni nuotatori, raggiungono in uno o due anni. E’ un’impresa immane, che consuma letteralmente le anguille, un una sorta di morte programmata, raccontano i ricercatori. Durante il tragitto, le femmine smettono di mangiare, si deformano, deperendo e assorbendo i propri tessuti – stomaco, intestino e parte dello scheletro – come nutrienti destinati essenzialmente alle ovaie: “Affrontano drammatiche modificazioni del loro corpo, durante il viaggio per i luoghi di deposizione. Le femmine si trasformano in una specie di sacco di uova”, racconta Brinkmann. E dopo averle deposte, la loro vita finisce. I figli ripercorreranno lo stesso tragitto, a ritroso, tornando nei fiumi e nei laghi d’Europa per crescere, e poi ripartire per i lidi natii.

Il deperimento dello scheletro delle anguille (in blu quanto resta). Crediti: Marko Frese e al.

Metalli pesanti: dallo scheletro alle ovaie

È proprio durante il processo di deperimento che i metalli pesanti finiscono per concentrarsi nelle ovaie. Mercurio, rame e altri metalli di origine industriale inquinano i fiumi e vengono normalmente assorbiti dai pesci nel ciclo della loro vita distribuendosi nel corpo e, in particolare, nello scheletro. Ma durante l’estenuante ultimo viaggio, la maggior parte dei tessuti, compresi quelli ossei, si trasformano in nutrienti per le preziose ovaie, che così accumulano le sostanze tossiche. I ricercatori hanno trovato nelle anguille mercurio, rame, cadmio e manganese in quantità relativamente alte, in grado potenzialmente di sabotare il successo riproduttivo della specie, con danni alle uova e conseguenze sulla salute delle larve. “Potenzialmente – racconta Brinkmann – queste sostanze mettono a rischio la sopravvivenza delle giovani larve e la loro capacità di completare il lungo viaggio verso casa”.

Il lungo viaggio delle anguille potrebbe finire

Per poter ottenere questi risultati i ricercatori hanno scansionato il corpo attraverso la tomografia computerizzata, tecnica usata in radiologia. Risultati allarmanti, come racconta Marko Freese del Thunen Institute per l’Ecologia della pesca, di Bremerhaven, Germania: “Non possiamo dire con precisione quanto i soli metalli stiano contribuendo al drammatico declino della popolazione di anguille degli ultimi decenni, ma i nostri risultati ci dicono che la contaminazione è un fattore importante”.

In effetti il numero di larve che torna in Europa dal 1980 è tragicamente collassato: la diminuzione è addirittura del 90%. “Dobbiamo agire rapidamente per salvare questa specie”, commenta amaramente Brinkmann. “Una priorità urgente dovrebbe essere quella di ristabilire la qualità dei fiumi e dei laghi dove le anguille vivono”.

Riferimenti: Pnas
Crediti immagine: Charles e Clinton Robertson/Flickr

Giancarlo Cinini

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