È una malattia ereditaria del muscolo del cuore che può provocare ritmi anomali, le cui ragioni non sono ancora del tutto chiare: è la cardiomiopatia ipertrofica (CMI), una patologia in cui il miocardio va incontro a un progressivo ispessimento che compromette la funzionalità dell’organo. Pur colpendo un individuo su 500, questa condizione spesso viene diagnosticata in ritardo, a causa dell’assenza di sintomi precoci che permette di condurre una vita normale per molto tempo.
Diagnosticare le alterazioni elettriche del cuore
Ad oggi, il test diagnostico più utilizzato è l’elettrocardiogramma standard, che però nella maggior parte dei casi è in grado di rilevare solo la malattia conclamata e non riesce a individuare la malattia precoce in due terzi delle persone. Ora, però, un gruppo di ricerca dello University College di Londra guidato dalla cardiologa Gaby Captur ha sviluppato un innovativo giubbotto elettrocardiografico in grado di diagnosticare con largo anticipo le alterazioni elettriche del cuore che si verificano nella cardiomiopatia ipertrofica. Lo strumento indossabile consente di realizzare insieme l’imaging elettrocardiografico, che genera biomarcatori elettrofisiologici, e la risonanza magnetica cardiovascolare, che fornisce dati sulla struttura, la funzione e il substrato tissutale del miocardio. George Joy, primo autore dello studio pubblicato sul Journal of The American College of Cardiology, racconta le potenzialità di questo nuovo approccio diagnostico.
Come funziona lo strumento che avete messo a punto?
“Abbiamo combinato l’imaging elettrocardiografico, che utilizza 256 sensori elettrici posizionati sul petto che registrano i segnali di cardiaci, con le informazioni ottenute dai test di imaging con uno scanner di risonanza magnetica per usi clinici standard ad alto campo (3 tesla). In questo modo possiamo ottenere mappe della conduzione e del recupero del segnale elettrico. Il dispositivo è facilmente indossabile dai pazienti, riutilizzabile e a basso costo, e questo ci ha consentito di testare questa tecnologia su un gran numero di pazienti”.
Quali esperimenti avete condotto per verificare la sua efficacia?
“Abbiamo condotto dei test su un campione di 70 persone senza cardiomiopatia ipertrofica, ma con alterazioni genetiche che sappiamo essere alla base della malattia. Abbiamo scoperto che in queste persone la conduzione elettrica del cuore è più lenta rispetto ai volontari sani e che il loro modello di recupero del segnale elettrico è anomalo. Uno stato che in altre condizioni è associato all’aritmia. Le anomalie rilevate in questo gruppo di soggetti si sono verificate anche in persone con ECG clinico normale. Abbiamo anche studiato 104 persone con malattie conclamate e abbiamo scoperto che il recupero elettrico del cuore è più lento e che il modello di conduzione del segnale è anormale. Queste anomalie sono state associate a caratteristiche cliniche considerate convenzionalmente ad alto rischio. Ciò significa che ora, con questa nuova diagnostica, possiamo rilevare precocemente le alterazioni elettriche: prima che i segni della malattia vengano intercettate dagli esami convenzionali. E poiché sono in fase di sviluppo nuove terapie per la CMI in fase precoce, potenzialmente possiamo indirizzare questi individui “a rischio” verso queste opzioni terapeutiche.
A chi potrebbero essere utili le informazioni che avete raccolto?
“Per esempio, potremmo aiutare a guidare le decisioni cliniche sui pazienti più a rischio di aritmia e su coloro che devono essere sottoposti a defibrillatori cardiaci impiantabili. Oppure stabilire chi possa fare esercizio fisico in sicurezza. Attualmente, infatti, nelle persone con CMI non abbiamo una strategia chiara per decidere quali pazienti possono fare esercizio fisico senza rischi e quali invece dovrebbero limitare gli sforzi. Questo aspetto è particolarmente importante per gli atleti”.
Quali saranno i prossimi passi del vostro studio?
“Ora vogliamo studiare un numero ancora più grande di pazienti e seguirli per un lungo periodo di tempo per osservare se i soggetti con anomalie abbiano maggiori probabilità di sviluppare complicazioni della malattia, in particolare l’aritmia, l’ispessimento del muscolo cardiaco e l’insufficienza cardiaca. Inoltre, siamo interessati a comprendere se l’esercizio fisico peggiori le anomalie o ne scopre di nuove prima non rilevate, dato che raramente i soggetti affetti da CMI sviluppano aritmie durante l’esercizio”.
Quando sarà disponibile nella pratica clinica il vostro gilet?
“Speriamo che questo metodo venga utilizzato negli studi che testano nuove terapie e anche in studi più ampi che seguono i pazienti per lunghi periodi di tempo. Ciò contribuirà sicuramente all’implementazione di questo nuovo metodo. Durante l’implementazione dobbiamo assicurarci che gli operatori sanitari siano in grado di ottenere informazioni di alta qualità dal gilet attraverso una tecnica ottimale e che siano in grado di standardizzare il metodo in modo che le letture concordino tra loro. Questo richiederà un lavoro di squadra tra ospedali e paesi e la condivisione di conoscenze ed esperienze”.
Foto: jesse orrico su Unsplash