Talvolta la soluzione si trova dove non la si sospetta neanche. È il caso di Loxhd1, un gene finora mai associato con la sordità, che sembra invece essere strettamente connesso con la funzionalità delle cellule dell’orecchio interno. La scoperta, che aiuta a comprendere meglio le cause della difficoltà ad intendere i suoni nella vecchiaia, è stata realizzata dai ricercatori dello Scripps Research Institute (La Jolla, California) e pubblicata sull’American Journal of Human Genetics.
Analizzando il Dna di diverse generazioni di topi, ognuna con il medesimo difetto, i ricercatori hanno identificato in una mutazione di Losxhd1 la responsabile del cattivo funzionamento delle stereociglia. Queste sono particolari cellule sensoriali i cui movimenti, prodotti dall’arrivo delle onde sonore, generano segnali elettrici che viaggiano lungo il nervo uditivo verso il cervello. Lo studio ha mostrato che, quando un individuo eredita due copie del gene mutato, perde progressivamente le capacità uditive poco dopo la nascita. La mutazione, infatti, non impedisce il corretto sviluppo delle cellule cigliate ma ne indebolisce il funzionamento e la capacità di rinnovarsi.
Successivamente i ricercatori hanno scoperto che questo gene è presente negli esseri umani con le stesse funzioni. Per far questo hanno analizzato diverse sequenze di Dna provenienti da famiglie in cui da generazione si ripetevano episodi di perdita dell’udito nella vecchiaia. Le analisi hanno confermato la presenza di Losxhd1 in alcune di queste famiglie.
“Il fatto che sia una mutazione che porta a una progressiva perdita dell’udito è di fondamentale importanza. Ci permetterà infatti di capire meglio i meccanismi genetici che provocano questa condizione e ci fornirà indizi utili per trovare il modo di correggerla”, ha commentato Mueller. Il ricercatore e i suoi collaboratori sono ora impegnati a valutare la possibilità di ottenere un trattamento efficace nell’invertire gli effetti a livello molecolare provocati dalla mutazione.(c.v.)
Riferimento: American Journal of Human Genetics doi:10.1016/j.ajhg.2009.07.017
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