Archeologi senza frontiere

Professione: archeologo. Così leggeremo nelle carte di identità di molti nostri connazionali. Come esistono l’albo degli architetti o dei geometri, avremo infatti anche l’albo degli archeologi. E, perché no, persino un albo dei professionisti dell’archeologia a livello europeo. E’ questo il fine principale per cui è stata creata, nel 1993, la European Association of Archaeologists (Eaa), che si riunirà dal 24 al 28 settembre a Ravenna per il suo meeting annuale.

Non a caso, tra resoconti di scavo e comunicazioni di nuove scoperte, ben tre tavole rotonde sono dedicate proprio a stabilire regole professionali precise per tutti gli archeologi d’Europa, da convogliare poi in un progetto di legge. “Siamo tuttavia ancora agli inizi”, dice Maurizio Tosi, docente di Paletnologia all’Università di Bologna e segretario generale del convegno. “Conciliare il rigore degli archeologi scandinavi con la mentalità più eclettica di, per esempio, italiani e spagnoli, e con l’abuso che molti, slavi in testa, fanno dell’archeologia per fini politici, non è facile.” Questo è uno dei punti cardine: la serietà professionale dell’archeologo, che non deve prestare la propria opera al servizio di quella o quell’altra etnia o ideologia. Alcune sezioni del convegno sono dedicate proprio a “Archeologia ed etnicità” come pure a “Archeologia, nazionalismi e politiche dell’identità”.

Ugualmente delicata è la discussione sugli aspetti etici e legali. La costituzione di un fronte unito contro lo scavo illegale e il contrabbando di reperti è ben lungi dall’essere una realtà. Ma qui l’Europa è all’avanguardia rispetto a paesi come l’India e la Cina dove il depredamento di opere d’arte è un problema di enorme portata. Osservatori indiani e cinesi saranno presenti al convegno: un primo passo verso un’apertura oltre i confini della vecchia Europa e la cooperazione internazionale.

E in Italia, nel frattempo, che si fa? In quasi tutti i paesi d’Europa l’archeologo è un professionista da chiamare in causa ogniqualvolta, per esempio, si rinvengano vestigia del passato nello scavare le fondamenta di un edificio. In Italia, al contrario, per legge l’archeologo non può neppure essere il direttore di uno scavo, che deve essere affidato a un architetto, un ingegnere, un geometra. Allora perché, nell’attesa che il dibattito a livello europeo produca i suoi frutti, non è possibile istituire dei requisiti minimi (titolo di studio, periodo minimo di tirocinio, superamento di un esame) che consentano l’iscrizione in un “albo” italiano di professionisti? E perché non si stabilisce che qualunque attività sul territorio debba impegnare l’impresario a ricorrere alla perizia di un archeologo? In realtà, un disegno di legge esiste e, più volte rielaborato e modificato, giace alla Camera da anni. Attualmente, è tra i programmi di discussione alla Commissione cultura.

L’Università di Bologna, il Comune di Ravenna e gli altri enti che hanno concorso all’organizzazione del convegno Eaa hanno voluto che il dibattito degli archeologi europei avesse luogo quest’anno in Italia perché servisse da stimolo per affrontare la questione anche nel nostro paese. Inoltre, l’ateneo bolognese intende in questo modo lanciare la neonata Facoltà ravennate di Conservazione dei beni culturali. E’ una dichiarazione di intenti: si vuole proiettare gli studenti in una realtà di lavoro estesa a tutta l’Europa.

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