Ballando con la matematica

“Per l’artista matematica non significa scienze matematiche. Non si tratta necessariamente di calcoli ma della presenza di una sovranità; una legge d’infinita risonanza, consonanza, ordine. Il rigore è tale che l’opera d’arte ne è una conseguenza, che si tratti di un disegno di Leonardo, della stupefacente precisione del Partenone, del ferreo e impeccabile gioco costruttivo della cattedrale, dell’unità che fa Cézanne, della legge che determina l’albero, splendore unitario di radici, tronco, rami, foglie e fiori. Nulla è casuale in natura. Quando si è capito che cosa sia la matematica in senso filosofico, la si scoprirà in tutte le opere. Il rigore, la precisione sono il mezzo per trovare la soluzione, la ragione dell’armonia”. Così scriveva nel 1946 l’architetto Le Corbusier in un testo sui rapporti tra matematica e arte pubblicato nel volume “Les grands courants de la pensée mathématique”, curato dal matematico francese suo amico François Le Lionnais.

Le Corbusier è molto chiaro: “Fornire la misura, prendere la misura, far regnare la misura sono le azioni inevitabili per mettere ordine, gli strumenti dell’ordine. Qual è il grande problema? Le misure tradizionali del dito, del pollice, del piede, del gomito sono espressioni della matematica naturale. Si è commesso un grande crimine contro il modo d’essere costruito dagli uomini, quando si è imposta l’unità metrica, quarantamilionesima parte strampalata e invertebrata del meridiano terrestre! Rimane al nostro mondo moderno sbarazzarsi dell’arbitraria misura metrica nella costruzione e rimpiazzarla con le risorse prodigiose dei numeri e particolarmente della feconda e inesauribile sezione aurea […]. Io sogno da molto tempo un’unità matematica risultante da una regola d’oro applicata alle imprese urbanistiche e mobiliari della nostra civiltà meccanizzata. Annuncio qui questa scoperta affinché la curiosità dei ricercatori possa contribuire a irraggiare l’unità e l’armonia nelle imprese di questa seconda era della civiltà meccanizzata. Armonia intima e universale, in azione nella nostra epoca e incaricata di cancellare il caos nel quale fu partorita la stessa civiltà meccanizzata”. Il 23 settembre 1949 andrà in stampa un libro destinato a diventare famosissimo: “Le modulor. Essai sur une misure harmonique à l’échelle humaine applicable universellement à l’architecture et à la mécanique”. Le idee che lo hanno influenzato sono quelle dell’arte classica, delle proporzioni. In fondo utilizzerà degli strumenti molto semplici, l’angolo retto e la proporzione aurea. Resterà colpito dalle idee dei cubisti, dipingerà egli stesso quadri cubisti. Pubblica la rivista “L’Esprit Nouveau”. Scopre i lavori di Matila Ghyka sulla proporzione aurea.

Nel disegno che Le Corbusier realizza il 6 gennaio 1946 (riprodotto qui in alto), due giorni dopo avere scritto l’articolo per Le Lionnais, vi è l’unità di misura, 108, il doppio 216, la proporzione aurea. Sulla destra, le due eliche che contengono due successioni di Fibonacci a salire e a scendere. È l’idea di “Le modulor”. “La matematica è la struttura regale studiata dall’uomo per avvicinarlo alla comprensione dell’universo. Afferra l’assoluto e l’infinito, il comprensibile e l’eternamente ambiguo”.

Un salto di sessanta anni, palcoscenico dell’auditorium della Conciliazione a Roma, 26 novembre 2009. In scena il balletto “Entity”. Per Le Corbusier alla base delle sue idee di architetto sono le proporzioni dell’uomo, la sua intima armonia, il suo mistero e il suo fascino. E il balletto è l’esaltazione del corpo dell’uomo e della donna, le proporzioni con cui cerchiamo di metrizzare l’universo, di renderlo comprensibile. Corpi che si innalzano, che si torcono, che si toccano, che si uniscono. Nel nome della bellezza e dell’armonia. E delle proporzioni, della proporzione aurea. Wayne McGregor è in questo momento uno dei più famosi coreografi del mondo. E’ stato nominato coreografo residente del Royal Ballet di Londra, il primo in sedici anni, e l’unico proveniente dalla danza contemporanea.  Ha realizzato molte coreografie, oltre che per il Royal Ballet, per la Rambert Dance Company, per la Scala di Milano. Tra l’altro ha realizzato le coreografie del quarto film della saga di Harry Potter. La compagnia di ballo che sta girando il mondo con “Entity” si chiama “Random Dance”, danza casuale. E in effetti sembra che la coreografia abbia puntato molto sulla casualità, sull’impressione di caos che i ballerini forniscono nel corso del balletto che dura sessanta minuti, un tempo molto lungo per una danza contemporanea. In effetti, a poco a poco, ci si accorge che nel muoversi quasi frenetico dei ballerini, vi sono delle regole, delle proporzioni che  emergono, che si chiariscono.

Verso la metà dello spettacolo, sui grandi pannelli che delimitano lo spazio, mentre i ballerini continuano la loro performance, iniziano a comparire delle immagini. Sono delle cifre, sono delle matrici, sono delle equazioni, dei numeri. Un grande numero 21. E delle spirali che si allargano sempre di più, ed ecco l’equazione algebrica che definisce la proporzione aurea, che in matematica si indica con la lettera . E davanti i pannelli si sviluppa una danza iperrealistica fortemente fisica in cui le proporzioni del corpo umano sono davanti agli occhi degli spettatori, senza alcun bisogno di ulteriori spiegazioni. “Ne nasce una danza di matematica precisione che appare improntata all’improvvisazione, ma che scaturisce invece da una sofisticata riflessione”, come si legge nel programma di sala. E le proiezioni di Ravi Deepres creano un universo virtuale in cui i ballerini sono immersi e di cui sono in qualche modo la rappresentazione. E lo scambio tra la fisicità dei corpi e le immagini crea un ulteriore impatto spaziale ed emotivo. Immagini, corpi, proporzioni. Ed ecco che compare sugli schermi il nome di Le Corbusier. E lo spazio si chiarisce, i corpi diventano “illustrazione” restando i protagonisti della “vera” vita che si svolge sul palcoscenico. E arte e scienza, corpo e mente, immagini e realtà diventano per alcuni istanti visibili davanti a noi. In quei corpi che dell’universo ci forniscono le proporzioni.

McGregor ha sempre avuto interesse per la scienza, per le scienze cognitive in particolare, per i meccanismi di funzionamento della mente umana, e per la matematica. “Come coreografo, la mia primaria aspirazione è stata quella di comunicare idee tramite lo strumento del corpo […]. Comprendiamo il mondo tramite il corpo, di cui la mente fa parte, e i nostri sensi collaborano per generare emozioni e creare significati”, ha scritto nel suo articolo “The Beauty in Science”. “Il che mi ha portato ad interessarmi alla tecnologia del corpo per cercare di capire che cosa un corpo del ventunesimo secolo è fisicamente e psicologicamente capace di fare. E la mia curiosità è del tutto parallela a quella delle ricerche scientifiche di oggi. Oltre agli incredibili sviluppi nella biologia molecolare, la biochimica, e la genetica, vi sono stati grandi avanzamenti nella scienza dello sport, nella nutrizione, nell’addestramento dei danzatori, nella prevenzione degli incidenti e nella riabilitazione, cose che hanno permesso ai danzatori di diventare più forti, più flessibili, più sani e di diventare più abili nell’affrontare lavori fisicamente molto impegnativi. La danza è spesso descritta come essenzialmente un mezzo non verbale di comunicazione. Tuttavia la mia esperienza nella pratica del fare è non solo basata su un approccio verbale ma dipende dalla condivisione di uno spazio cognitivo complesso da parte del danzatore e del coreografo, del coreografo e dei suoi collaboratori, e dello stesso lavoro e del pubblico”.

E ancora: “Se l’arte della danza e della creazione della danza offre una profonda connessione tra mentale e fisico, è del tutto naturale tenere in conto che cosa la scienza cognitiva possa offrire al coreografo. Essendo un artista appassionato di scienza, mi chiedo spesso se l’istinto giochi o no una parte importante nel mio comportamento creativo, o se entrino in campo la logica e la ragione (usualmente attribuite solo al pensiero scientifico). In effetti, artisti e scienziati condividono lo stesso potenziale di immaginazione, il poter pensare in modo diverso, astratto. Il progetto di ricerca “Entity” vuole chiedersi che cosa succede nel cervello che sta realizzando una coreografia e come sia possibile modellizzare questo tipo di intelligenza su un computer. Questa ricerca di tre anni condotta con scienziati delle università di Cambridge, di UC San Diego e del Sussex mira a creare una serie di agenti artificiali intelligenti, coreografi autonomi, che possano generare soluzioni uniche ai problemi coreografici sfruttando la mia pratica professionale. Non si tratta di creare dei robot ma una serie di programmi per il computer che rispondano a determinati stimoli dell’ambiente. Allo stesso tempo, sono immerso nel linguaggio dell’Intelligenza Artificiale, nella sua particolare sintassi e grammatica, negli algoritmi ed evoluzioni dinamiche, ed è proprio da qui che la prima fase di “Entity” per il palcoscenico è emersa. Nel corso di questa ricerca mi è stata sempre ricordata la grande potenza dei numeri. La matematica ritorna sempre di continuo come lo strumento naturale per la traduzione di un’idea astratta  in qualcosa di sensato e tangibile. E non dovrei proprio esserne sorpreso. Dall’Uomo Vitruviano di Da Vinci, alla Divina proporzione o sezione aurea, dalle serie di Fibonacci al ‘Modulor’ di Le Corbusier, vi è così tanta matematica nella natura e bellezza nella scienza”.

I fili interminabili della cultura scientifica e artistica si riannodano, si intrecciano nell’eterna ricerca dei loro legami. Perché l’uomo che cerca di ‘misurare’ l’universo non può che utilizzare il suo corpo, le sue proporzioni, la sua bellezza per comprendere. Una misura di cui il balletto è spesso una delle forme più sublimi.

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