Il primo video-dizionario della lingua dei segni

    Oggi è una data importante per la comunità dei sordi italiana. Anche la Lis (Lingua dei Segni Italiana) è entrata infatti a fare parte delle 25 lingue europee contenute in Spread the Sign, il primo video-dizionario multilingue della lingua dei segni. L’ingresso dell’Italia nel progetto, finanziato dalla Commissione Europea attraverso l’Ufficio per il Programma Internazionale Svedese di Educazione e Formazione, è stato annunciato oggi durante un evento organizzato presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, istituto che ha curato la versione italiana del dizionario insieme ad un team di sordi madrelingua della Lis. Per chi fosse interessato, Spread the Sign è disponibile gratuitamente sul sito internet del progetto (http://www.spreadthesign.com/), ed è consultabile anche come app, su Apple store e Google play.

    Spread the Sign è nato in Svezia nel 2008 come supporto per la comunità dei sordi locale, ma si è presto trasformato in un progetto ben più ampio e ambizioso. “Fino ad oggi esistevano infatti solamente dizionari monolingua, mentre con questo progetto si vuole aprire la possibilità di consultare tutte le lingue dei segni del mondo”, spiega Lisa Danese, linguista e traduttrice in lingua dei segni della Ca’ Foscari che ha seguito la realizzazione della versione italiana di Spread the Sign. “Al momento il video-dizionario contiene oltre 200.000 segni di 25 lingue europee, a cui presto dovrebbero unirsi anche Cina, Giappone, Bolivia e Stati Uniti”.

    Per l’Italia l’occasione è particolarmente importante, perché il dizionario più recente che codificava i segni della nostra Lis risaliva ormai agli anni ’80, e conteneva non più di 3.000 parole. Per il lancio di Spread the Sign invece, sono già 10.000 i segni consultabili, e l’obbiettivo e quello di raggiungere i 17.000 entro l’anno prossimo. “In molti casi sono parole nuove, nate negli ultimi anni grazie a internet e alle nuove tecnologie. Le lingue dei segni infatti stanno smettendo di essere parlate in ambito principalmente familiare, e si stanno arricchendo di tutta una nuova serie di significati e concetti”, racconta Danese. “Per alcune parole invece mancava una traduzione nella Lis, e abbiamo dovuto inventare nuovi segni. Per questo è stato fondamentale l’aiuto di Gabriele Caia, docente madrelingua di lingua dei segni della Ca’ Foscari”.

    Secondo i ricercatori, il dizionario sarà un aiuto prezioso per l’acculturazione dei sordi, che potranno entrare in contatto con termini nuovi, e saranno aiutati negli spostamenti al di fuori del proprio paese d’origine. Ma non solo. “Alcuni studi che abbiamo iniziato recentemente alla Ca’ Foscari sembrano indicare che la lingua dei segni potrebbe migliorare le capacità comunicative di persone che soffrono di diversi tipi di disabilità, come ad esempio l’autismo”, conclude Danese.

    Utilizzare Spread the Sign è facilissimo. Basta visitare il sito www.spreadthesign.com, inserire nell’apposita barra la parola cercata e cliccare poi sulla bandierina corrispondente alla lingua del paese in cui vogliamo vedere la traduzione. Si aprirà quindi un filmato, in cui un esperto mostra il segno nella lingua scelta.

    Se avete ricerche e studi da segnalare alla redazione per la rubrica “Ricerca d’Italia” scrivete a redazione@galileonet.it

    1 commento

    1. il mio commento, essendo sordo dall’età evolutiva è positivo a tutto campo, essendo io divenuto improvvisamente sordo totale a 10 anni x meningite, ora ne ho 73 e posso dire di aver dovuto affrontare non solo ostacoli, ma il demonio della mancanza di comunicazione ai convegni, tavole rotonde, dibattiti vari. Se la LIS fosse ben conosciuta non ci sarebbero oppositori, io credo. che la situazione migliorerebbe assai.

      Leggendo recentemente un libro, di cui allego la mia recensione, ritengo che l’evoluzione dei miei confratelli sordi sia stata ardua, ma finalmente si è a un passo dalla !quasi parità” sociale

      Alla (ri)scoperta di Giulio Ferreri e l’«arte d’istruire i sordomuti»
      (Recensione di Marco Luè)

      Ho scoperto, nella Biblioteca “Benefica Cardano” di Milano, un libro di 439 pagine, in dimensioni oggi inusuali (cm. 11,7×18), ma accuratamente rilegato e conservato: «Il sordomuto e la sua educazione», di Giulio Ferreri (1862-1942), stampato, “A spese dell’Autore”, nel 1896 dalla Tipografia Editrice di Siena, e con grande interesse l’ho voluto leggere parendomi, pagina dopo pagina, di ripercorrere quegli eventi di storia e dell’evoluzione dei miei simili sordi.
      Ferreri fu direttore dell’Istituto per Sordomuti e della Scuola normale “Cardano” di Milano. Diresse anche, per molti anni, le riviste ” L’educazione dei sordomuti” e “Contributi pedagogico – didattici”
      Sotto il suo rettorato la legge di Stato approvò l’istruzione obbligatoria per i sordomuti nel 1923 e il regolamento della scuola di metodo nel 1928, di cui fece parte nei disegni di legge del Ministero Pubblica Istruzione, guidato da Giovanni Gentile(1922-24) per l’educazione pedagogica ai sordomuti. Il Prof. Ferreri fu all’avanguardia nella sua scuola.
      Nella “Premessa” al libro, l’autore dichiara che «L’opera meravigliosa del grande abate Michele de l’Epèe mi ha offerto l’occasione di studiare i progressi,», dell’arte di istruire i sordi, e nello scorrevole volume Ferreri ha diviso il suo studio in due periodi, il primo parte dall’anno 1784 -quando l’abate Silvestri aprì in Roma la prima scuola per l’istruzione dei sordomuti- fino al 1873, data del Congresso di Siena, primo nazionale fra gli educatori dei sordi, mentre la seconda parte, dal 1873 al 1892, tratta lo studio e l’opera delle scuole italiane dei sordi. Perché lo studio non escludesse anche quanto accadeva nelle altre nazioni,egli ha pure tentato di rappresentare in iscorcio il processo evolutivo dei metodi usati nell’istruzione dei sordomuti nel “periodo fecondo” che va dal 1830 al 1880, dimostrando lo stato dell’istruzione, a quel tempo, nelle principali nazioni del mondo civile.
      Il testo è suddiviso in 14 capitoli, ciascuno contenente appropriati paragrafi esplicativi.
      Nel 1° capitolo, «Dalle origini dell’arte di istruire i sordomuti», Ferreri nota che istruire chi non ode è, come per tutti gli individui, «… un prodotto delle tendenze umanitarie che vengono motivate e svolte dalla osservazione e dall’indagine sperimentale … » ma, per i “sordomuti ” quell’opera di giustizia e di civiltà” non era stata oggetto di studio nello svolgersi della vita in passato, per cui i sordi erano stati vittime del più grande nemico della giustizia, il pregiudizio, ma “quanto più cresce la resistenza, tanto maggiore si richiede la forza per vincerla”.
      Nemmeno Ippocrate, il padre della medicina scientifica, aveva visto il rapporto fra sordità e mutismo, anzi pare avesse ritenuto la causa in un difetto della lingua.
      Fu Girolamo Cardano, nel XIV secolo, a dare avvio ad uno studio sulle cause della sordità, e tra i suoi appunti fu trovato che «I sordomuti conoscono Iddio, e ciò appunto perché sono intelligenti. Pel ciò appunto non può esservi ostacolo a renderli capaci di esercitare un’arte, anche tra le più nobili e delicate».
      Nel secondo capitolo, Ferreri scrive dell’istruzione privata dei sordomuti e delle prime prove fatte in Spagna, aqd opera del monaco Pedro Ponce (1520-1584), il quale per primo, nel silenzio della sua cella nel monastero S.Salvador de Ona, e poi con il suo confratello Juan Pablo Bonet, dette ai sordomuti la parola, poi imitati da Emanuel Ramirez de Carrion e Pietro de Castro e da altri monaci spagnoli, quindi pure in Inghilterra, in Olanda, in Germania si fece lo stesso.
      Fu però l’abate francese De l’Epèe (1712-1789) che seppe portare l’istruzione dei sordomuti da opera nascosta e negletta, all’interessamento pubblico. Ben s’accorse il De l’Epèe che il sistema dei segni combinati fosse un metodo utile, seppure di ripiego, ed era allora l’unico mezzo per restituire il sordomuto alla società insegnandogli poi a parlare. Il suo scopo fu principalmente quello di “stenebrare la loro mente”, e veramente il De l’Epèe portò il maggior contributo allo studio della parte logica della lingua.
      De l’Epèe ebbe una controversia con l’educatore tedesco Samuel Heinicke, in particolare sulla dichiarazione di quello che «… il metodo della scuola di Parigi essere dannoso all’istruzione dei sordomuti», senza valutare che il vero merito dell’abate francese stava nell’avere trovato per primo il mezzo per diffondere l’educazione dei sordomuti, sostenuto il loro diritto alla pubblica istruzione, e fondato la prima scuola gratuita per i sordi, che poi si diffuse in tutta Europa.
      Nel capitolo 10, il Ferreri tratta lo “Studio speciale dell’istruzione dei sordomuti in Italia”, e si rammarica perchè “… la bella parte che l’Italia ha con Girolamo Cardano (1501-1576) e le origini dell’arte d’istruire i sordomuti”, si sia interrotta dopo la prematura morte del Cardano, e riprese solo dopo l’evento dell’abate De l’Epèe. La prima scuola per sordomuti che sorse in Italia, fu quella di Roma per merito del sacerdote Tommaso Silvestri, di Trevignano Romano, il quale era stato a Parigi per apprendere il metodo da De l’Epèe, ma applicando poi anche il metodo orale.
      Purtroppo l’abate Silvestri morì a soli 45 anni, e fu una jattura che il lavoro da lui appena iniziato si perdesse nella sua maggior parte e forse il metodo iniziato dal Silvestri sarebbe stato perfezionato assai prima.
      Il Ferreri, dopo quella di Roma, cita la scuola di Genova, terza per fondazione, ma “prima ad esercitare una salutare influenza sulle altre”, e in quella scuola, diretta dal sacerdote Ottavio Assarotti (1753-1829) il metodo di istruzione era eminentemente logico e razionale, poiché il miglior metodo essere quello di non avere alcun metodo, e tutti i maestri dei sordomuti dovettero innanzi tutto combattere contro il pregiudizio della presunta incapacità mentale di chi non udiva.
      Dopo aver elencato i pregi delle scuole di Torino, Modena, Siena, Verona, Palermo e Bologna, finalmente Ferreri cita “le scuole di Milano”, le quali per l’influenza di un governo di lingua straniera –l’Austriaco – o per mancanza di energia e di lavoro proprio, “rimasero fuori dell’orbita di quelle che ebbero nella prima metà dell’Ottocento, dunque con minore importanza rispetto alle istituzioni congenite della Penisola.
      Il “secondo periodo storico” dell’arte di istruire i sordomuti muoverebbe dal «Congresso Internazionale di Milano» del 1880, dove la scuola pedagogica tedesca dell’oralismo s’impose alle nazioni civili e quel congresso, preceduto nel 1873 dal primo convegno nazionale, a Siena, stabilì che il metodo orale deve essere preferito a quello della mimica per l’educazione e istruzione dei sordomuti.
      Appunto il Ferreri riconosce che la prima parte storiografica dell’istruzione dei sordi, cominciata con il Ponce, si può dire terminata con il Congresso internazionale di Milano, mentre la seconda parte storiografica muove da quel Congresso e si proietta nel futuro, cioè fino a quando «… le scuole speciali per i sordomuti, disciplinate con Regolamento e piano didattico uniforme, si mostreranno come un corpo organico, diretto nelle sue funzioni da agenti che, escludendo ogni preconcetto, solo abbia di mira l’efficacia massima della funzione educativa …», ma specificava xhe: «Ciò può avvenire sol quando un taglio decisivo separi gli istituti d’istruzione dagli stabilimenti ricoveri».
      A conclusione del suo libro, e appare come la sua evidente convinzione, Ferreri rimarca che il torto degli oralisti è di escludere dall’insegnamento il gesto e l’alfabeto manuale poiché «Quella che vuolsi sia la lingua del sordomuto nella vita, la medesima deve essergli stata già tale durante il corso della sua istruzione sì nella scuola, come nel libero conversare».
      E quel volume pare essere il testamento dello storiografo dei sordi, il professore Giulio Ferreri..

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