Il senso del bebè per il linguaggio

    Tra tutti i suoni che potremmo emettere, le lingue di tutto il mondo ne utilizzano solamente un numero molto limitato. Da cosa dipende? Una possibile spiegazione è che nel nostro cervello esistano alcuni vincoli innati, che guidano l’apprendimento del linguaggio, facendoci preferire alcuni suoni o sillabe ancor prima di farne esperienza. Una prova decisiva a favore di questa tesi arriva oggi da uno studio della Sissa di Trieste, pubblicato su Pnas, che dimostra come alcune preferenze nelle sillabe che compongono le parole siano già presenti nei primissimi giorni di vita dei neonati.

    Quante parole che iniziano con il suono “bl” vi vengono in mente? Blusa, blu, blando… Basta invertire però le lettere, per ottenere “lb”, una combinazione che non si trova mai all’inizio delle parole italiane, ed è rarissima anche in tutte le altre lingue esistenti. Esempi del genere sono numerosissimi, e sono uno dei motivi che hanno portato alcuni linguisti a congetturare l’esistenza di basi biologiche nel linguaggio umano. Non è però l’unica ipotesi possibile. Altri scienziati infatti ritengono che il fenomeno sia spiegabile attraverso semplici processi di apprendimento, o che possa dipendere dalla facilità con cui questi suoni vengono prodotti dal nostro sistema articolatorio.

    Per cercare di capire quale sia l’ipotesi più plausibile, i ricercatori della Sissa hanno pensato di osservare l’attività cerebrale dei neonati. “Se infatti è possibile mostrare che queste preferenze sono già presenti nei primi giorni di vita, quando il neonato ancora non parla e possiede una conoscenza linguistica plausibilmente molto limitata – spiega David Gomez, primo autore della ricerca – allora possiamo pensare che esista una disposizione innata che favorisce certe parole rispetto ad altre”.

    I ricercatori hanno monitorato l’attività cerebrale dei neonati utilizzando una tecnica non invasiva definita spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso. Durante gli esperimenti i neonati ascoltavano parole che iniziano con suoni normalmente “preferiti” (come “bl”) e altre con suoni poco usuali (“lb”), e i ricercatori osservavano poi la reazione che avveniva all’interno del loro cervello. I loro risultati sembrerebbero confermare l’ipotesi di una base biologica che guida le preferenze dei suoni linguistici.

    “Le aree cerebrali che si attivano nel cervello dei bambini durante l’ascolto reagiscono in maniera diversa nei due casi, e rispecchiano le preferenze che si rilevano nei vari linguaggi, oltre che le risposte comportamentali registrate in esperimenti simili con adulti”, spiega Gomez. “È difficile immaginare come le lingue potrebbero suonare se gli esseri umani non condividessero delle basi di conoscenza comuni. Siamo fortunati che questa condivisione invece esista. I nostri bambini così vengono al mondo in grado di distinguere le parole dalle ‘non parole’ fin dalla nascita, non importa quale sia la lingua che poi impareranno”.

    Riferimenti: Language universals at birth; David Maximiliano Gómez, Iris Berent, Silvia Benavides-Varela, Ricardo A. H. Bion, Luigi Cattarossi, Marina Nespor, eJacques Mehler; Proceedings of the National Accademy of Sciences doi: 10.1073/pnas.1318261111

    Credits immagine: Sergio Bacioiu

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