Bufale online, la matematica spiega come si diffondono

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(Foto via Pixabay)

Fortissima polarizzazione tra gli utenti. Presenza di tribù organizzate in cui tutti la pensano più o meno allo stesso modo e nessuno è disposto ad ascoltare i nemici. Circolazione delle informazioni estremamente prevedibile. Sono queste le conclusioni di un nuovo studio pubblicato su Scientific Reports dagli scienziati del Laboratorio di Computational Social Science dell’Istituto Imt di Lucca, che da tempo lavorano alla caratterizzazione matematica della circolazione di informazione (e disinformazione) online. Un problema non nuovissimo: già nel 2013, per esempio, il World Economic Forum ha definito la diffusione delle informazioni false sul web come una delle minacce più preoccupanti per la società in cui viviamo. Con un semplice click chiunque può pubblicare la propria opinione su qualsiasi tematica senza che ci sia un’effettiva verifica sulla sua fondatezza, e come conseguenza si osserva sui social network il proliferare di pagine di ogni tipo che parlano di complotti mondiali, scie chimiche e correlazioni tra vaccini e autismo.

Lo studio analizza proprio fenomeni di questo tipo, concentrandosi sull’aspetto quantitativo delle dinamiche di diffusione delle informazioni sul web. Il gruppo di ricerca, in particolare, ha appena costruito dei nuovi modelli matematici che cercano di caratterizzare i fenomeni di viralità e contagio sociale che si osservano online, cercando quindi di descrivere ancora meglio la realtà.

Ancora oggi, infatti, si tende a confondere il fenomeno della viralità con quello della propagazione di un’epidemia, e spesso vengono usati dei modelli di tipo medico-epidemiologico per descrivere la diffusione delle opinioni sul web.

Ma quello della propagazione delle informazioni è un fenomeno complesso, che non deve essere semplificato, e che ha bisogno anche di un approccio di tipo sociale. Le forze di tipo sociologico, però, non sono facili da tradurre in numeri e non è detto che ciò si possa fare. Quello che ha cercato di fare l’Istituto Imt Alti Studi di Lucca è di inserire più parametri possibili nel modello matematico da loro proposto, in modo da rappresentare al meglio il comportamento delle persone e delle loro opinioni espresse sulla rete.

“Oggi ci troviamo con un mare di dati a disposizione che potrebbero descrivere la diffusione delle informazioni, ma abbiamo ancora difficoltà a formulare un modello valido che sappia spiegarli e metterli in ordine” spiega il fisico Antonio Scala, uno degli autori dello studio. “Ora siamo in una sorta di fase di competizione tra modelli. In questa fase potrebbero nascere dei modelli che un domani saranno considerati dei vicoli ciechi, ma se va bene, invece, potremmo ottenere un modello standard che sappia spiegare bene i dati e che rappresenti una vera e propria interpretazione della realtà”.

Il parametro principale per valutare la diffusione delle opinioni online è stato quello della distanza, ossia quanto una persona possa differire dall’altra a causa delle proprie idee. Quello che osserviamo come conseguenza della distanza è la formazione delle cosiddette eco-chambers, comunità che condividono interessi comuni, selezionano informazioni, discutono e rinforzano le proprie credenze attorno a un’idea condivisa. Da qui il contenuto di una notizia, falsa o meno, circola all’interno di queste camere diventando virale e diffondendosi da una persona all’altra.

“Non sappiamo se la matematica sarà prima o poi in grado di descrivere in modo corretto tutti i parametri di questo fenomeno” prosegue Scala. “Noi abbiamo proposto delle variazioni al Bounded Confidence Model (Bcm), un modello utilizzato per rappresentare l’evoluzione della diffusione delle opinioni in un certo numero di individui. In queste variazioni abbiamo cercato di caratterizzare meglio questo passaggio di informazioni tra più persone, cosa comporta e ciò che ne consegue. Il nostro è un tentativo, ma ne faremo anche altri. L’importante è cercare un modello che sia più naturale, che rispecchi il comportamento degli individui, e che riproduca fenomenologicamente quello che succede nei dati”.

Via: Wired.it

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