Dalla pascalina, completamente meccanica, ai processori quantistici, del tutto digitali. Una transizione che ha richiesto secoli di scoperte scientifiche e progressi tecnologici e ha aumentato di diversi fattori la potenza di calcolo a disposizione degli esseri umani. E che potrebbe oggi essere arrivata a un nuovo punto di svolta. Quasi un’inversione a U, dato che il dispositivo che propone un’équipe di ricercatori dell’Università del Sannio, della University of Pennsylvania e della University of Texas at Austin è un sorprendente ritorno a una tecnologia analogica. Spieghiamo meglio: gli scienziati hanno dimostrato che alcuni tra i cosiddetti metamateriali (ovvero materiali creati artificialmente e dotati di caratteristiche fisico-chimiche diverse rispetto a quelle degli elementi che si trovano in natura) possono essere in grado di svolgere calcoli facendo passare della luce al proprio interno. L’approccio è analogico perché non prevede l’utilizzo di elettronica e fa parte del cosiddetto calcolo fotonico, ossia dell’insieme di procedure che permettono di svolgere operazioni complesse sfruttando le proprietà dei fotoni, le particelle che compongono la luce. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science.
La tecnologia studiata dai ricercatori, come dicevamo, è una sorta di “ritorno all’analogico”. I predecessori dei moderni computer digitali, infatti, erano calcolatori meccanici, che usavano elementi fisici (ingranaggi, leve, pesi, ruote dentate) per rappresentare, memorizzare e manipolare le informazioni numeriche. All’inizio del ventesimo secolo, hanno fatto la loro comparsa i primi computer analogici elettronici, in cui leve e ingranaggi erano soppiantati da resistenze, condensatori, induttori e amplificatori: in questi dispositivi, i valori numerici e le loro elaborazioni erano “convertiti” e letti in termini corrente elettrica e voltaggio. Successivamente sono arrivati i computer digitali, ormai ubiqui, in cui le informazioni sono trasformate e processate in termini di bit, ovvero zero e uno, che rappresentano il passaggio o meno di corrente elettrica.
Il team di ricercatori ha pensato di rispolverare l’architettura dei computer analogici sostituendo però agli ingranaggi (o ai componenti elettronici) dei metamateriali e delle onde di luce. “Rispetto ai computer digitali”, spiega Nader Engheta, primo autore del lavoro, “quelli analogici erano più ingombranti e più lenti e più dispendiosi dal punto di vista energetico. Ma utilizzando i metamateriali ottici potremmo essere un giorno in grado di rimpicciolire notevolmente i computer analogici, e di farli funzionare a velocità prossime a quelle della luce con pochissima energia”. I metamateriali sono composti di elementi che si trovano in natura, ma fabbricati in modo da riuscire a manipolare le onde elettromagnetiche in modo molto particolari. I ricercatori, in particolare, sono riusciti a mettere a punto una simulazione computerizzata di un metamateriale in grado, almeno teoricamente, di trasformare la forma di un’onda di luce che lo colpisce in una forma d’onda che è, dal punto di vista matematico, la derivata prima di quella incidente. In altre parole, il metamateriale è in grado di “calcolare” analogicamente una derivata prima, operazione alla base della risoluzione di equazioni anche molto complesse.
“I risultati delle simulazioni sono molto promettenti”, spiega ancora Engheta, “il che ci suggerisce che un giorno riusciremo a svolgere calcoli fotonici in un esperimento reale, e non più in una simulazione”. Le prossime ricerche dell’équipe, infatti, si concentreranno sulla costruzione e sul test del metamateriale simulato, ed eventualmente su un suo miglioramento per renderlo in grado di risolvere altre operazioni matematiche: codificando le informazioni numeriche in un’onda di input, inviandola al metamateriale e “leggendo” l’onda in output, i ricercatori sperano di riuscire a mettere a punto un vero e proprio processore miniaturizzato. E completamente analogico. o
Riferimenti: Science
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