Categorie: Salute

C’è un messaggero tra i neuroni

Può capitare, in certi giorni, di sentire che la testa “gira a vuoto”. Come se, al posto del cervello, avessimo una sorta di gelatina. Ebbene, per quanto questo possa sembrare strano, la realtà non è poi così diversa. Nel senso che nel cervello di ognuno di noi, una buona porzione – pari a circa il 20 per cento – è piena di liquido. Anziché formare un’unica massa solida e compatta, infatti, i neuroni sono disposti secondo una struttura reticolare dove le cavità e gli interstizi sono riempiti da un fluido. Una condizione che la scienza non ha ancora esplorato fino in fondo.

In realtà, i neurobiologi devono ancora approfondire l’intero sistema di funzionamento del cervello. Le nuove teorie e le ultime ricerche sperimentali non fanno altro che aggiungere nuovi tasselli al grande mosaico che, da ormai più di cento anni, si cerca di comporre per raggiungere questo obiettivo. Ma a stimolare l’interesse dei ricercatori, in particolare, sono i meccanismi di comunicazione intracerebrali. Finora si riteneva che l’unico modo in cui i neuroni si trasmettono gli impulsi elettrici fosse attraverso le sinapsi. Ma dalle ultime ricerche emerge che le modalità di comunicazione tra le cellule del sistema nervoso sono in realtà assai più complesse. Secondo un nuovo filone di studi, alcune potrebbero utilizzare proprio questi spazi pieni di fluido per comunicare in un modo tutto diverso. Autore di questi studi è, insieme al gruppo svedese di Kjell Fuxe, del Karolinska Institutet di Stoccolma, Luigi Agnati, del Dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Modena. Galileo lo ha intervistato.

Professore, nel 1995 il suo gruppo di ricerca ha proposto una nuova classificazione della comunicazione intercellulare nel cervello. Di cosa si tratta?

“Grazie ai nostri studi, oggi possiamo affermare che il cervello non elabora informazioni soltanto grazie alle reti di neuroni. Ma che a questo compito partecipano anche altre cellule del sistema nervoso, in particolare le cellule gliali (da otto a dieci volte più numerose dei neuroni) e la matrice extracellulare. Quest’ultima è una rete tridimensionale costituita da gel idrato, nella quale sono presenti enzimi e molecole capaci di ancorare le cellule e i loro prolungamenti, e quindi di dare fissità alle connessione intercellulari. E’ proprio questo liquido presente nella matrice extracellulare a permettere la migrazione dei segnali chimici liberati dalle cellule”.

Dunque dalle sue ricerche emerge una via di comunicazione alternativa a quella delle sinapsi. Lei l’ha definita “volume transmission”. In cosa consiste?

“E’ un tipo di comunicazione intercellulare basata sulla diffusione del messaggio chimico in tutte le direzioni dello spazio intercellulare. Quando il messaggio chimico raggiunge una cellula dotata di recettori che lo riconoscono, viene captato e decodificato. Per capire come funziona questo meccanismo, possiamo paragonare la trasmissione sinaptica a una linea telefonica, dove occorre una connessione fra sorgente del messaggio e apparecchio ricevente. Mentre la “volume transmission” è invece come una trasmissione radiofonica, dove il messaggio si diffonde nello spazio e raggiunge tutti i potenziali apparecchi riceventi, ma viene decodificata solo da quelli opportunamente sintonizzati”.

E come si propaga il messaggio nello spazio intercellulare?

“Il messaggio chimico mostra una direzione di propagazione preferenziale. Non solo: talvolta il processo può dipendere non dalla diffusione, che permette una propagazione lenta, ma dalla convezione: è il liquido stesso che si muove fra le cellule trasportando il messaggio. Che in questo modo può percorrere notevoli distanze (parliamo di millimetri) nello spazio di alcune decine di minuti. Una velocità assai inferiore a quella della trasmissione in una rete neuronale, dove la propagazione del segnale lungo una cellula nervosa può raggiungere i 300 Km/ora, e il tempo che il segnale impiega a passare dal neurone presinaptico al neurone postsinaptico è di soli 0,3 millesimi di secondo”.

Quali sarebbero allora i vantaggi della “volume transmission”?

“Per esempio il fatto che non le occorre una “linea dedicata”, perché lo stesso fluido intercellulare può veicolare messaggi per un numero enorme di cellule diverse. La specificità del legame informazionale fra sorgente e bersaglio non è data, quindi, da un prolungamento cellulare, ma dal fatto che quel messaggio chimico è riconosciuto solo dalle cellule che hanno i recettori molecolari appropriati”.

Se questa scoperta venisse confermata, rivoluzionerebbe il modello tradizionale del cervello o andrebbe semplicemente ad integrarlo?

“Potenzialmente la “volume transmission” mette in comunicazione qualsiasi cellula del cervello con qualsiasi altra. Per comprendere il funzionamento di questo apparato diventa necessario studiare più che le reti neuronali le reti cellulari. Inoltre, possiamo pensare che la trasmissione sinaptica e la “volume transmission”, viste le loro diverse caratteristiche, servano a compiti diversi. La prima è rapida e fugace, la seconda è lenta, ma sostenuta nel tempo. E dunque, mentre la prima sarà impiegata per lo svolgimento di compiti che impongono una rapida esecuzione (come il controllo del movimento oculare o delle dita di una mano), la seconda sarà impiegata nei compiti che prevedono una lenta insorgenza e un tono prolungato nel tempo, come lo stato che precede e accompagna alcuni comportamenti istintivi, quali l’assunzione di cibo”.

La vostra scoperta potrebbe avere anche ripercussioni nella diagnosi di malattie come il Parkinson o l’Alzheimer? E quali ricadute potrebbe avere dal punto di vista farmacologico?

“Oggi sappiamo che nell’invecchiamento cerebrale vi è una riduzione nello spazio intercellulare, e quindi una diminuzione nella possibilità di diffusione dei messaggi chimici mediante “volume transmission”. Nel morbo di Parkinson, tuttavia, la “volume transmission” può avere un effetto positivo, in quanto fa sì che, nonostante la degenerazione nello striato di terminali nervosi (e quindi dei contatti sinaptici) che liberano dopamina, le cellule bersaglio per questo trasmettitore ricevano ancora il segnale attraverso la “volume transmission”. Secondo noi sarebbe importante valutare, nelle malattie neuropsichiatriche, se i deficit siano principalmente a carico della trasmissione sinaptica o della “volume transmission”. E utilizzare, di conseguenza, farmaci che modulino nella direzione voluta quella delle due trasmissioni intercellulari che è particolarmente alterata”.

Per saperne di più: LF Agnati, “Il Cervello dell’Uomo fra Scienza e Cultura” – CEA, Milano 1998

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