Chi è il ricercatore dell’anno?

È arrivata la fine dell’anno ed è tempo di fare bilanci. Nature ha deciso di stilare la sua personale classifica del 2011, compilando la top ten dei personaggi che hanno fatto la storia della scienza (e non solo). Saremo lieti nello scoprire che al primo posto c’è un italiano, quel Dario Autiero che assieme ai colleghi del progetto Opera sta dando del filo da torcere alla fisica moderna avendo dimostrato che i neutrini corrono più veloci della luce. Ma oltre a personaggi del mondo della scienza, compaiono nella classifica di Nature anche personalità della società civile. Per esempio Lisa Jackson, la donna che guida l’Environmental Protection Agency statunitense battendosi per un mondo più pulito; o Essam Sharaf, ex presidente del governo di transizione egiziano che credeva nella scienza come strumento di democrazia. E come dimenticare il settemiliardesimo abitante della Terra? Ecco un breve profilo di ognuno, in attesa dei nuovi eroi dell’anno che verrà.

Dario Autiero, l’uomo che ha sfidato la relatività
Lo descrivono come un uomo schivo, disabituato alla luce dei riflettori. Quale peggior condanna per uno come lui balzare agli onori della cronaca per aver, niente meno, sfidato Einstein e la sua legge sulla relatività speciale. Stiamo parlando di Dario Autiero, uno dei ricercatori coinvolti nell’ Oscillation Project with Emulsion-Tracking Appa­ratus (Opera), l’esperimento che sembra mettere in crisi i fondamenti della fisica moderna. Secondo i risultati di Opera, infatti, i neutrini avrebbero coperto i 730 chilometri tra il laboratorio del Cern di Ginevra e quelli del Gran Sasso con  60 nanosecondi in meno rispetto a quanto avrebbe fatto la luce. “ Quando ho visto i dati ero sicuro ci fosse un errore”, ha confessato Autiero. Salvo poi, dopo accurate analisi statistiche e il check della strumentazione anche presso altri laboratori, affermare che: “ Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo fare. Se pensi di aver fatto le cose per bene, bisogna trattare i risultati inattesi allo stesso modo di quelli attesi”. Per vedere come andrà a finire bisognerà aspettare la fine del 2012, quando altri esperimenti confermeranno o meno i risultati del 23 settembre. Ma il vero test, confessa Autiero, arriverà dagli esperimenti del Main Injec­tor Neutrino Oscillation Search, in cui i neutrini viaggeranno per 720 km dal Fermilab vicino a Chigago sino al Minnesota, e del T2K, dove un fascio di neutrini coprirà i 300 km di distanza che separano Tokai e Kamioka, due regioni del Giappone. E comunque vada sarà un successo. “ Qualunque cosa accada, il nostro più importante contributo non sono i risultati ma come li abbiamo ottenuti – ha detto Autiero – abbiamo sviluppato un metodo che altri potranno utilizzare, e a questo serve la scienza”.

Sara Seager, la donna a caccia di esopianeti
Solo quest’anno il telescopio della Nasa Keplero ne ha trovati ben 28. Sono i pianeti al di fuori del Sistema Solare, alcuni dei quali sembrano avere tutte le carte in regola per  ospitare la vita. Gli ultimi sono stati Kepler-22b e, proprio ieri, 20e e 20f , ma ce ne sono ancora 2 mila in attesa di conferma. Sara Seager è una ricercatrice del Massachusetts Institute of Tech­nology (Mit) di Cambridge che lavora al progetto Keplero, monitorando la radiazione di migliaia di stelle alla ricerca di un calo di luminosità che indichi il transito di un esopianeta. Immaginando il futuro, la Seager dice: “ Quando le persone si guarderanno indietro, non ricorderanno né me né te. Ricorderanno la nostra generazione come quella che ha scoperto i primi pianeti simili alla Terra”. Ecco perché la Seager ha un progetto ambizioso: trovare pianeti al di fuori del Sistema Solare che siano abbastanza vicini da poterne analizzare l’atmosfera e trovare condizioni adatte alla vita. I suoi assi nella manica sono un telescopio spaziale grande 10×10×30 centimetri (che costerebbe circa 800mila euro e utilizzerebbe lenti modificate dal costo di mille euro ciascuna) da lanciare nello Spazio a bordo di razzi e un telescopio orbitante in grado di analizzare lo spettro della radiazione stellare. Il Terrestrial Planet Finder, un progetto che la Nasa porta avanti dal 2006, potrebbe fare al caso suo. La Seager ha in cantiere un primo lancio nel 2013, che può contare su oltre 2 milioni di euro di finanziamenti dal Mit e altri istituti di ricerca.

Lisa Jackson, una donna contro l’inquinamento
Da quando è stata eletta presidente dell’ Environmental Protection Agency (Epa) degli Stati Uniti, Lisa Jackson non ha avuto vita facile. La sua colpa? Voler tutelare l’ambiente e la salute dei suoi concittadini, una sfida che ha suscitato l’ira dei Repubblicani. Solo quest’anno, la Jackson è stata chiamata a render conto del suo lavoro ben 11 volte davanti al Congresso. E probabilmente questa via crucis non finirà. Ma le difficoltà non le hanno impedito di portare avanti il suo lavoro: cercare di far rispettare le regole fissate dal Clean Air Act in merito alle emissioni di gas serra lavorando assieme alle aziende automobilistiche per promuovere lo sviluppo di modelli più ecologici, e alle industrie per limitare le emissioni di gas inquinanti e altre sostanze tossiche come il mercurio. Una serie di provvedimenti osteggiati dai Repubblicani perché costerebbero troppi soldi e posti di lavoro, in un momento in cui gli Stati Uniti sono a corto di entrambi. Ma la Jackson non deve lottare solo contro l’opposizione. La minaccia arriva anche dall’interno, dalla stessa amministrazione Obama che, troppo occupata a far fronte ai problemi economici del paese, sembra non rispettare le promesse fatte agli ambientalisti.

Essam Sharaf, l’uomo che credeva nel futuro della scienza egiziana
Cinquantanove anni, laureato in ingegneria alla Cairo University e alla Purdue University (Usa), aspro oppositore dell’ex presidente egiziano Mubarak. Questo il biglietto da visita di Essam Sharaf, l’accademico che scese in piazza nei giorni della rivoluzione egiziana per finire, grazie alle sue idee e al suo carisma, a capo del governo di transizione del paese. Sharaf crede nella scienza come strumento di democrazia e sviluppo, e a testimoniarlo ci sono gli sforzi del suo gabinetto per migliorare il sistema scolastico e costruire un’università dedicata alla ricerca di base e applicata, la Città della Scienza e della Tecnologia di Zewali. “ I paesi non vanno avanti senza ricerca”, diceva Sharaf. Ma i suoi sogni sono finiti troppo presto. I critici hanno accusato il Governo di debolezza, di essere un fantoccio nelle mani dei militari. E quando le critiche si sono trasformate in una nuova ondata di protesta che si è riversata nelle piazze a novembre, Sharaf e il suo staff si sono dimessi. Le prossime elezioni presidenziali si avranno a giugno, quando si capirà anche quale sarà il futuro della scienza egiziana.

John Rogers, il fisico che dà un senso alla fisica
Il motto di John Rogers è questo: “ Fare fisica per fare fisica è grandioso, ma se riesci a trovare per la fisica un’applicazione tecnologica allora è ancora meglio”. Oggi Rogers è a capo di un laboratorio di 40 persone alla University of Illinois at Urbana–Champaign (Usa) che combina fisica, chimica, scienza dei materiali e bioingegneria con la concretezza dell’ innovazione tecnologica. L’ultimo esempio viene dall’idea che i dispositivi elettronici possano essere fusi con il corpo in un tutt’uno uomo-macchina. Per realizzarlo, Rogers ha fondato la mc10, una spin-off che lavora allo sviluppo di apparecchi elettronici che possano funzionare da interfaccia uomo-macchina. Un’altra azienda da lui fondata, la Semprius, si occupa invece di sviluppare celle fotovoltaiche così efficienti da competere con l’energia da fonti fossili. E nonostante il genio, Rogers rimane una persona modesta, che ha confessato di aver speso i soldi dei numerosi premi ricevuti (tra cui il Lemelson–MIT per l’innovazione e il MacArthur Foundation) non per sé stesso ma per i finanziare le idee di giovani talentuosi.

Diederik Stapel, dalle stelle alle stalle
Prima dell’autunno, la sua carriera era alle stelle. Lo psicologo olandese Diederik Stapel era considerato un’autorità nel campo finché alcuni studenti non hanno denunciato irregolarità nel modo in cui conduceva le sue ricerche. Le indagini sulla condotta di Stapel sono subito iniziate, e la commissione d’inchiesta incaricata (che coinvolge anche ricercatori della Tilburg University nei Paesi bassi, dove lo psicologo aveva la cattedra di Scienze Sociali e Comportamentali) di far luce sulla vicenda sta ancora analizzando le oltre 150 pubblicazioni dell’accademico sulle varie riviste scientifiche. Stapel si fa un’analisi di coscienza e confessa a un quotidiano olandese che: “ Ho fallito come scienziato, come ricercatore. Ho modificato i dati degli studi e li ho falsificati. Non solo una volta ma più volte e non in modo puntuale, ma per un lungo periodo. Mi vergogno e sono profondamente dispiaciuto”. Lacrime di coccodrillo? Forse, ma quello che conta, in tutta questa faccenda, è la pronta reazione del mondo accademico, che in modo trasparente si è subito mossa per cercare di risolvere il problema. Perché in gioco non c’è solo la credibilità della scienza (che pur non è poco), ma anche quella di tutti quei giovani studenti che sono stati trascinati nel fango da colui che doveva essere il loro tutore.

Rosie Redfield, la donna che fa le pulci alla ricerca
Sembra che il passatempo di questa microbiologa canadese sia rompere le uova nel paniere ai ricercatori troppo sicuri di sé. Nel dicembre dello scorso anno, uno studio pubblicato su Science fece molto scalpore: gli autori sostenevano di aver scoperto batteri capaci di incorporare arsenico nel loro Dna. Una notizia straordinaria perché significava che la vita può esistere anche con una chimica radicalmente diversa da quella che conosciamo. Ma la Redfield, in un post pubblicato nel suo blog, gelò la comunità scientifica e il mondo della Rete scrivendo che: “ In realtà, lo studio non presenta alcuna prova convincente che dimostri che l’arsenico sia stato incorporato nel dna dei batteri”. Il putiferio. Ma le osservazioni della microbiologa servirono ad aprire un dibattito sul tema, che portò la stessa Science a pubblicare otto critiche allo studio. Non contenta, la Redfield pensò bene di replicare i risultati dello studio per conto proprio, seguendo passo passo la procedura sperimentale descritta e pubblicando i suoi risultati on line nel blog. Sino a oggi è riuscita a far crescere colonie di batteri in presenza di arsenico, ma deve ancora dimostrare che effettivamente il semimetallo sia stato incorporato nel Dna dei microorganismi e se davvero è possibile escludere l’assenza totale di fosforo (perché questa era una delle accuse mosse allo studio originale, di non contemplare la possibilità che i batteri fossero cresciuti in un mezzo di coltura contaminato con fosforo). E non importa come andrà a finire, perché quello della Redfield è un esempio lampante di open science e, soprattutto, di un cervello che ragiona senza farsi imbambolare da proclami sensazionalistici.

Il settemiliardesimo abitante del Mondo
Il 31 ottobre del 2011 le Nazioni Unite hanno simbolicamente eletto l’abitante numero sette miliardi della Terra: è Danica May Camacho, un bambino nato nelle Filippine. Ma la notizia non è che siamo troppi e che la popolazione mondiale continuerà ad aumentare sino a quota 10 miliardi nel 2050, bensì che la crescita sta rallentando. Dopo aver raggiunto il picco di 135 milioni nel 1990, è ormai da molti anni in preoccupante declino. E se continuerà questa tendenza dovremmo fare i conti con uno stravolgimento demografico della popolazione che avrà effetti differenti nei vari paesi. Comunque sia, c’è un problema da risolvere: la povertà, la fame, la gestione delle risorse e la loro ripartizione, l’impiego di fonti energetiche rinnovabili.

Mike Lamont, l’uomo che muove i protoni
Mentre i fisici del Large Hadron Collider (Lhc) presentavano le prove (indirette) dell’esistenza della particella di Dio, Mike Lamont, l’uomo che fisicamente aveva spinto i protoni a collidere, non c’era. Per un motivo più che valido, visto che stava tenendo una riunione privata con i circa 80 ingegneri che lavorano al più grande acceleratore di particelle del Mondo. Quest’anno, l’Lhc è stato teatro di 500 mila miliardi di collisioni tra protoni (un numero cento volte maggiore di quello ottenuto nel 2010) generando un torrente di dati che hanno permesso ai ricercatori di arrivare alla conclusione che sì, molto probabilmente il bosone di Higgs esiste e ha una massa di 125 gigaelettronvolt. Da quando è entrato a far parte del progetto, nel 2001, Lamont ha speso la sua carriera in mezzo ai protoni, sia per migliorare il più possibile il processo di collisione sia per risolvere problemi più terreni, come i cosiddetti ufo, oggetti non identificati che a volte interferivano col fascio di protoni interrompendo gli esperimenti. Per il 2013, Lamont spera di riuscire ad aumentare ulteriormente il numero di collisioni e avere ancora più dati a disposizione per confermare o meno l’esistenza del bosone di Higgs. “ Gli esperimenti sono come polli affamati – ha dichiarato – ne vogliono sempre di più”.

Tatsuhiko Kodama, lo scienziato del popolo
Il suo discorso davanti al Parlamento del Giappone ha collezionato un milione di visite su YouTube. Di chi stiamo parlando? Di Tatsuhiko Kodama, il ricercatore dell’ Università di Tokyo che ha accusato il governo giapponese di non aver detto tutta la verità sulla quantità di radiazioni emesse dalla centrale nucleare di Daiichi dopo il terremoto dell’11 marzo. Da allora Kodama è diventato il portavoce emotivo della tragedia di Fukushima, a lui si sono rivolti i governi locali per cercare di programmare al meglio le evacuazioni e avviare le decontaminazioni. La rabbia del ricercatore è esplosa a pochi giorni dal disastro, quando il governo giapponese non volle (per non allarmare inutilmente la popolazione, così disse) rendere pubblici i dati sulla diffusione delle radiazioni dopo l’incidente nucleare. Poi, la Commissione per la Sicurezza Nucleare e il Parlamento giapponese bisticciarono sulla soglia di sicurezza delle radiazioni (20 o 1 millisievert?), ostacolando le operazioni di decontaminazione e confondendo la gente. Tutti eventi che, secondo il ricercatore, non hanno fatto altro che rallentare il già faticoso processo di recupero. Dal canto suo, Kodama ha sempre pensato alla gente, incoraggiando i governi locali a evacuare le fasce più vulnerabili della popolazione dalle zone più pericolose e aiutando i lavori di decontaminazione. E ancora oggi non smette di far sentire la sua voce, continuando ad accusare il Governo di non fare tutto il necessario per aiutare la popolazione e di continuare a tenere nascoste informazioni importanti.

via wired.it

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