Categorie: Società

Come colmare il gap di genere nella ricerca

Negli ultimi quindici anni l’Unione Europea ha dedicato risorse specifiche per raccogliere dati, analizzare e affrontare il problema della sottorappresentanza delle donne nelle attività scientifiche. A partire dalla metà degli anni Novanta, la Commissione Europea ha sviluppato in maniera consistente i propri interventi in materia, compreso un apparato sempre più ampio di misure, iniziative e progetti. Ma tutte queste attività non hanno intaccato i fattori che limitano la parità effettiva tra uomini e donne nella scienza: questi fattori sono legati ai sistemi organizzativi e alla relazione tra individui e organizzazioni che difficilmente possono essere modificati dall’adozione di singole misure. Per questo Genis Lab – un progetto europeo promosso e coordinato dalla Fondazione Giacomo Brodolini (FGB), della durata di quattro anni – propone un nuovo approccio sistemico e integrato alla questione della promozione delle pari opportunità nelle organizzazioni scientifiche. A mettersi in gioco saranno sei istituzioni scientifiche (1) che, grazie al contributo dei tre partner “tecnici” – la FGB, l’Associazione Donne e Scienza (ADS) e il Centro internazionale di formazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ITC/ ILO) – autovaluteranno le loro politiche di genere. 

La filosofia che sta alla sua base: sostenere cambiamenti attraverso la ridefinizione, in un ottica di genere, dei criteri di valutazione dell’eccellenza e l’identificazione di strumenti specifici per la definizione di piani di sviluppo “su misura” per ciascuna istituzione così da promuovere cambiamenti strutturali al loro interno, verso le pari opportunità. Dalla logica dell’“agire sulle donne” passiamo a quella dell’“agire sul sistema”, come l’ha definita la studiosa americana Londa Schiebinger, ovvero all’adozione di «specifiche misure per le donne» (es. mentoring, modelli di ruolo o rete di relazioni professionali) si preferisce quella di misure sistemiche che «agiscano sulle donne in modo che esse possano assumere ruoli decisionali nel sistema ricerca scientifica» (2).

Per raggiungere lo scopo saranno utilizzate diverse metodologie. La prima sarà il Participatory Gender Audit (PGA) – uno strumento applicato dall’ILO da circa dieci anni per analizzare le organizzazioni da una prospettiva di genere, cercando di rilevare la cause culturali e strutturali delle discriminazioni – integrata dal cosiddetto gender budgeting. Il PGA non va inteso come una valutazione esterna, ma si configura come un’esperienza di apprendimento partecipato per l’organizzazione coinvolta. Lo scopo dell’analisi organizzativa è quello di individuare eventuali criticità nella struttura e permettere una comparazione globale tra le diverse istituzioni di ricerca partecipanti, coinvolgendole in un dialogo interno sui limiti strutturali esistenti e in una riflessione comune sui possibili miglioramenti. A ciascun dipendente viene inviato via e-mail un questionario attraverso il quale potrà esprimere la propria esperienza, le proprie esigenze e le proprie percezioni in relazione alla cultura organizzativa, alle pratiche operative e alla cultura dell’eccellenza dal punto di vista di genere; sono state scelte tre specifiche aree strutturali di azione prioritarie: risorse umane, politiche e strumenti di gestione,  cultura organizzativa e stereotipi, meccanismi finanziari e bilancio di genere.

Il risultato finale sarà, per ogni organizzazione partecipante, un rapporto elaborato di concerto con lo staff e discusso con il suo management, che evidenzi i bisogni concreti di cambiamento strutturale, e proponga spunti utili all’elaborazione di strategie per rispondere a questi bisogni. Attraverso laboratori virtuali si realizzerà poi un’attività di mutuo apprendimento e condivisione di misure efficaci di gender-management e quindi l’elaborazione di linee guida per la definizione d ei “piani su misura” per le diverse istituzioni. 

Gender budgeting e pay gap
Sempre più spesso si sente parlare di bilancio di genere (gender budget GB) nelle strategie  amministrative degli enti pubblici: uno strumento di analisi dei bilanci pubblici che prevede la prospettiva della realizzazione della parità di opportunità per uomini e donne in tutte le fasi e a tutti i livelli delle politiche pubbliche e da parte di tutti gli attori coinvolti nei processi decisionali. Il bilancio, infatti, non è uno strumento neutro, ma riflette la distribuzione di potere esistente nelle istituzioni: nel definire politiche di entrate e uscite, la dirigenza definisce il modello di sviluppo scientifico ed economico, producendo effetti differenti sui dipendenti a seconda che siano uomini o donne. Ignorare tale diversità significa riflettere e riprodurre l’assenza di effettive pari opportunità che attualmente non esistono per le donne, svantaggiate nella famiglia, nella società, nel lavoro. Il GB offre quindi agli amministratori e ai dipendenti una lettura più approfondita dell’istituzione rispetto alle differenze di genere: grazie a questa nuova chiave di lettura sarà possibile una maggiore consapevolezza dell’efficacia e dell’efficienza delle iniziative concrete, finalizzate al raggiungimento delle pari opportunità tra sessi. I progressi verso un GB è lento, in parte perché è difficile correlare il denaro al suo impiego. Molte ricerche mostrano che la poca importanza data all’impatto dell’assegnazione delle risorse serve a perpetuare pregiudizi di genere sebbene proprio le risorse economiche offrano la possibilità di sanare le discriminazioni di genere, dirette, indirette o sistemiche.

L’analisi di genere si concretizza in un documento di bilancio, riclassificato e rianalizzato per passare dai criteri contabili e amministrativi a criteri di trasparenza e di consapevolezza delle azioni politiche rispetto alle disparità di genere.

In connessione al GB un altro elemento da analizzare è il pay gap attraverso lo studio dei dati relativi ai compensi totali che uomini e donne percepiscono. Per esempio, riguardo alla differenza salariale di genere, negli enti di ricerca pubblici, in Italia, c’e una caratteristica che solo un attento studio disvela. Dall’analisi dei livelli stipendiali nei contratti succedutisi nel tempo, si rileva che la carriera amministrativa è sempre stata remunerativamente inferiore a quella tecnica: infatti per un amministrativo, a parità di titolo di studio rispetto a un tecnico, lo stipendio di partenza  è inferiore di un livello. Si noti inoltre che il livello più basso di accesso per i laureati nei profili di ricercatore e tecnologo è il III, mentre per i laureati amministrativi è il V livello, cioè ben due livelli più in basso. Poiché il profilo amministrativo è ricoperto in gran maggioranza da donne e quello tecnico e scientifico da uomini, le donne risultano in media meno remunerate, a parità di titolo di studio. Il pay gap aumenta poi attraverso l’attribuzione da parte della dirigenza di incarichi si responsabilità remunerati, spesso in percentuale maggiore agli uomini rispetto alle donne, in relazione alla popolazione dei profili.

Soluzioni su misura
Dopo l’analisi dei sintomi e la condivisione della diagnosi con tutti i partner, l’ultima fase del  progetto prevede la definizione e l’attuazione di un “piano di  azione su misura”. Ciascuna azione sarà definita in termini di: tempo di realizzazione, grado di priorità, impatto atteso (devono essere definiti degli indicatori, risorse previste, sostenibilità oltre la conclusione  del progetto). È poi  fondamentale che la leadership degli istituti partecipanti sia coinvolta a un ampio livello e che si prenda in considerazione il contesto  organizzativo, altrimenti il programma rischia di restare un “corpo estraneo” all’interno dell’istituzione o,quanto meno, di essere percepito come tale: i dirigenti delle istituzioni partecipanti si sono infatti impegnati a realizzare (è questa un’ importante originalità del progetto) i cambiamenti strutturali suggeriti dal “piano di azione su misura”.È inoltre essenziale che il programma diventi una parte integrante dell’organizzazione e che le tematiche di genere siano messe in relazione a quelle più generali della diversità, ed entrambe in rapporto allo sviluppo generale della scienza. Qualunque forma di discriminazione diretta, indiretta, o sistemica rappresenta una zavorra per la scienza, specialmente oggi che la ricerca scientifica e tecnologica è esposta a profondi processi di cambiamento che interessano il modo in cui essa viene prodotta, gestita e guidata politicamente. Le discriminazioni favoriscono la  fuga dei cervelli e lo spreco delle risorse, riducono la capacità di contestualizzare socialmente le attività della ricerca,  producono un incremento dei conflitti interni alle organizzazioni, alimentano la diffusione di rappresentazioni stereotipate e distorte del lavoro scientifico e riducono la capacità della società di “parlare” alla scienza e quella della scienza di “rispondere” alla società. In una prospettiva simile, le tematiche sul genere e le discriminazioni devono essere viste non come una specifica – ancorché importante – questione da risolvere, bensì come una porta di accesso privilegiata per interpretare l’intero spettro dei problemi che attualmente scienza e società sono chiamate ad affrontare.

NOTE

(1) INFN (Italia), Blekinge Tekniska-Hogskola (BTH, Svezia), Faculty of Technology and Metallurgy Univ. of Belgrade (FTM-UB, Serbia), Kemijski Institut (NIC, Slovenia), Leibniz Inst. Fur polymerforschung Dresden E.V. (IPF, Germania), Agencia Estatal Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (CSIC, Spagna).

(2) Londa L. Schiebinger, professoressa di Storia della Scienza presso la Stanford University e direttore del progetto EU/US Gendered Innovations in Science, Medicine, and Engineering; Gendered Innovations in Science and Engineering: Stanford University Press, 07 marzo 2008.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero Sapere di Febbraio 2012 con il titolo ” Nuove strategie contro il gender gap”. Ecco come abbonarsi alla rivista.

Maria Luigia Paciello è associata senior presso l’INFN.

Credit immagine a IRRI Images/ Flickr

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