Categorie: Vita

Come resuscitare le rane estinte

Le rane del genere Rheobatracus, meglio note come “rane ad incubazione gastrica”, hanno un sistema di riproduzione estremamente inusuale: le madri infatti ingoiano i girini appena nati, tenendoli al sicuro nello stomaco fino al termine del loro sviluppo. È una forma di adattamento unica tra le rane, o meglio, lo era, perché purtroppo a partire dagli anni ’80 le due specie di Rheobatracus esistenti sono state dichiarate estinte. Fine della storia, dunque? Forse no: un team composto da ricercatori australiani e inglesi sta infatti tentando di resuscitare queste rane, impiantando il loro materiale genetico nelle uova di una specie imparentata, ma ancora in vita. I risultati del progetto, che devono ancora essere pubblicati, sono stati presentati da Mike Archer, professore della University of New South Wales di Sydney e leader del gruppo di ricercatori, durante il convegno “Tedx DeExtintion”, realizzato a Washington dall’organizzazione Ted e dalla National Geographic Society.

Il genere delle rane ad incubazione gastrica era composto da due sole specie, le Rheobatrachus silus e le Rheobatrachus vitellinus. Di entrambe le specie si sono perse le tracce nel 1985, anno dell’ultimo avvistamento di un esemplare di vitellinus, e gli scienziati ritengono che siano ormai estinte, probabilmente a causa dei cambiamenti avvenuti nel loro ambiente, o di qualche malattia. Questa almeno era la situazione cinque anni fa, quando il team di Archer ha deciso di tentare un salvataggio high tech. I ricercatori hanno quindi scelto il nome piuttosto esplicito di “Progetto Lazzaro” per la loro iniziativa, si sono procurati degli esemplari di Rheobatracus silus conservati da 40 anni in un congelatore, e si sono messi a lavoro.

Utilizzando una tecnica definita somatic cell nuclear transfer (trasferimento del nucleo di cellule somatiche, quella grazie alla quale è nata la pecora Dolly, per intendersi), i ricercatori del progetto Lazzaro hanno trasferito il materiale genetico proveniente dalle cellule della Rheobatracus silus all’interno di uova prelevate da una specie imparentata, la Mixophyes fasciolatus. Le uova così ottenute hanno iniziato a dividersi spontaneamente, sviluppandosi fino ai primi stadi dello sviluppo embrionale.

Nessuno degli embrioni creati dal Progetto Lazzaro è riuscito a sopravvivere più di qualche giorno, ma i ricercatori ritengono che i risultati siano comunque un successo, perché i test hanno confermato che tutte le cellule sviluppatesi dalla replicazione delle uova di Mixophyes fasciolatus contenevano il materiale genetico della specie estinta. 

“Stiamo praticamente vedendo Lazzaro che si alza e cammina, un eccitante passo dopo l’altro”, spiega Archer. “Abbiamo trasformato cellule morte in cellule viventi, resuscitando nel processo il genoma di queste rane estinte. I problemi che abbiamo ora di fronte derivano dalla tecnologia e non da un’impossibilità biologica, e quindi siamo sicuri che il nostro progetto riuscirà. In questo modo abbiamo anche dimostrato che la tecnica da noi utilizzata potrebbe aiutare a conservare le centinaia di specie anfibie a rischio di estinzione”.

Riferimenti: University of New South Wales

Credits immagine: Peter Schouten via Unsw

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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