Categorie: Fisica e Matematica

Come si piega un nanotubo

Nano-oggetti. Minuscoli manufatti tridimensionali – più piccoli di un batterio, ma un po’ più grandi della doppia elica del Dna – che hanno numerose applicazioni in ambito tecnologico (Vedi Galileo: Arriva il chip quantistico) in elettronica (La macchina elettrica più piccola del mondo) e nelle scienze biomediche (Il sensore al grafene che parla con le cellule). Per due decadi, scienziati di tutto il mondo hanno cercato il modo di modellarne la forma a seconda dell’occorrenza, ma questi piccoli prodotti sono difficili da gestire. Sembra però che alcuni ricercatori dell’Istituto Catalano di Nanotecnologie e dell’Università Autonoma di Barcellona  abbiano finalmente capito come fare. Il segreto, come spiegano in un articolo pubblicato su Science, è tutto nella chimica.

Già solo costruire a proprio piacimento un foglio bidimensionale di nanoparticelle non è facile. Bisogna prendere un atomo o una molecola alla volta e sollevarli con delicatissimi apparecchi (scanning tunneling microscope, o atomic force microscope). Poi bisogna rilasciarli nel punto giusto, con il rischio che rimangano attaccati alla punta del microscopio, fenomeno che il premio Nobel Richard Smalley definiva ironicamente “il problema delle dita appiccicose”. Ma sembra che costruire oggetti 3D di piccole dimensioni, modellandoli secondo necessità, possa essere ancora più complicato. Per questo fino ad oggi i ricercatori sfruttavano le proprietà di nanotubi e nanostrutture spesso senza modificarne la forma: i gradi di libertà nell’assemblaggio e nella definizione della struttura di questi oggetti erano decisamente bassi.

Ma grazie ai ricercatori catalani questo problema potrebbe essere risolto. Basterebbe infatti scegliere accuratamente secondo le loro proprietà chimiche i materiali usati e modificare leggermente le proprietà dell’ambiente circostante, grazie a processi ben noti ai ricercatori. Controllando grandezze come temperatura, tensione superficiale degli elementi in gioco e forze elettromagnetiche (forza di Van der Waals), gli scienziati sono in grado di scegliere grado di uniformità e struttura dei nano-oggetti.

In particolare, ad esempio, lasciando interagire metalli liquidi che hanno tempi di diffusione diversi si possono creare piccoli manufatti bucati o a più strati (effetto Kirkendall). Oppure, mescolando un metallo ridotto (ovvero al quale sono stati aggiunti elettroni) con un altro in stato ossidato (con meno elettroni) e con caratteristiche elettrochimiche particolari è possibile ottenere nano-oggetti rivestiti di uno dei due materiali (deposito galvanico). “Usando insieme questi due procedimenti è possibile costruire strutture dalle morfologie ancora più complesse”, spiegano i ricercatori nello studio.

La cosa curiosa, è che i processi usati sono noti agli scienziati da molto tempo, ma non erano mai stati applicati su scala nanoscopica. “In questo lavoro abbiamo recuperato vecchi metodi e li abbiamo usati su scala diversa, ottenendo uno strumento potentissimo per dare forma a questi minuscoli oggetti”, scrivono a conclusione dello studio. “L’effetto Kirkendall e la galvanizzazione sono entrambi processi che sono stati studiati per decenni su materiali più grandi. La loro rivisitazione e combinazione ci ha dato una nuova prospettiva di studio per il mondo microscopico, che è ancor più reattivo di quello macroscopico rispetto a questi fenomeni.”

“Si apre dunque la strada per un nuovo modo di modellare le nanoparticelle – ha scritto Wolfgang Parak  dell’Università di Marburg, in un commento alla ricerca pubblicato sempre su Science – che finalmente ci permetterà di strutturarle in modo da incontrare perfettamente i nostri bisogni”.

Riferimenti: Science doi: 10.1126/science.1212822 , DOI: 10.1126/science.1215080

Credits immagine: Victor Puntes, Jordi Arbiol and Edgar Gonzales

Laura Berardi

Dopo essersi laureata in fisica presso Sapienza Università di Roma con una tesi in Meccanica quantistica, ha deciso di dedicarsi alla comunicazione scientifica: ha frequentato il Master SGP e si è diplomata nel 2011 con una dissertazione su scienza e mass media, nello specifico sul tema della procreazione medicalmente assistita. Oggi è redattrice scientifica a Quotidiano Sanità, collabora con Galileo e Sapere e scrive per Wired.

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