Categorie: Società

Come sta l’open access?

È già tempo di bilanci per il movimento open access nell’editoria scientifica. Ed è un bilancio ambiguo. Mentre anche importanti organizzazioni fanno passi concreti in direzione dell’accesso gratuito alle pubblicazioni scientifiche, la più nota esperienza di questo tipo, Public Library of Science, deve ammettere di avere perso circa un milione di dollari nell’ultimo anno. E, come conseguenza, deve aumentare da 1500 a ben 2500 dollari la quota richiesta agli autori di un articolo per la pubblicazione. Un segnale che stride, però, con le molte aperture di soggetti anche molto influenti, come il Wellcome Trust (ente no profit britannico per il finanziamento della ricerca), che ora obbliga i ricercatori che finanzia a depositare copie dei loro paper in repertori liberamente accessibili. O la National Academy of Sciences, che sulla sua rivista Pnas ha pubblicato nel corso del 2005 ben 565 paper “aperti”, su precisa richiesta degli autori. Insomma, il modello open access sta prendendo quota o è già in crisi? Abbiamo chiesto un parere a Anna Maria Tammaro, docente di editoria digitale all’Università di Parma. Professoressa Tammaro, qual è sinora il bilancio dell’esperienza open access?“Il momento è oggettivamente critico. Ci sono almeno tre ostacoli a una vera realizzazione dell’open access che devono ancora essere superati. Il primo è definire un vero modello economico, perché il semplice pagamento di una tariffa da parte del ricercatore o dell’istituzione non basta a coprire i costi di una pubblicazione. Poi c’è la protezione del copyright e la prevenzione del plagio. Le licenze creative commons risolvono qualche problema ma non tutti. Infine il problema di garantire la qualità. Per ora gli autori ‘autorevoli’, per così dire, si tengono lontani dalle riviste open access, che in questo modo raccolgono molta ‘vanity press’, articoli che non vedrebbero mai la luce se qualcuno non pagasse per pubblicarli. Il fatto è che per essere davvero alternativi ci vuole organizzazione, non basta la buona volontà. Per essere davvero competitive le riviste open access devono fornire un servizio al lettore paragonabile a quello delle riviste tradizionali, non basta non farlo pagare”. Quali sono al momento le esperienze più riuscite?“Per ora gli esempi migliori sono i depositi istituzionali, archivi digitali creati da enti di ricerca che consentono ai ricercatori di condividere i propri lavori. È un modello che ha funzionato molto bene in alcune discipline dove si era già consolidato, come fisica e informatica. Meno nelle scienze della vita, dove c’era meno tradizione e questi depositi sono diventati spazio per ‘vanity press’”. Il fatto è che questi strumenti richiedono una buona autogestione da parte dei membri dell’istituzione per funzionare. In alcune comunità scientifiche c’è una maggiore tradizione, in altre deve ancora consolidarsi”. Questi sono i segnali negativi. Però ce ne sono anche molti indubbiamente positivi. “Sicuramente sì. Per prima cosa c’è un grande e autentico interesse da parte della politica, in particolare l’Unione Europea ha visto nell’open access un modo per ampliare e accelerare la circolazione del sapere, e si è chiaramente pronunciata a suo favore. Inoltre per i paesi in via di sviluppo, che prima erano letteralmente tagliati fuori dall’accesso alle pubblicazioni scientifiche, l’open access è stata la prima vera occasione di seguire gli sviluppi scientifici e di farsi conoscere. Questo vale soprattutto per i paesi asiatici, ma in misura minore anche per quelli africani”. E in Italia? “Anche da noi le cose si muovono. C’è stata una importante iniziativa della Conferenza dei Rettori che ha costituito un gruppo di lavoro per occuparsi di open access. Ci sono alcuni depositi istituzionali che funzionano. Il limite principale è che tutto quello che si è fatto lo si è fatto dal basso, manca una strategia centrale. Sarebbe bello avere un deposito unico nazionale per le Università, come è stato fatto in Olanda con il deposito Dare, un progetto particolarmente interessante perché lì sono le ricerche migliori a essere ‘premiate’ con l’accesso libero”.

Nicola Nosengo

Scrittore e giornalista. Dopo essersi laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Siena ed aver frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, si dedica al giornalismo scientifico, scrivendo articoli sulla tecnologia, sulle neuroscienze e sulla medicina. Pubblica nel 2003 il suo primo lavoro L'estinzione dei tecnosauri, in cui parla di tutte le tecnologie che non sono sopravvissute allo scorrere del tempo. Attualmente tiene una rubrica mensile sulla rivista Wired dedicata allo stesso tema.Tra il 2003 e il 2007 collabora con diverse redazioni come L'espresso, La Stampa, Le Scienze, oltre che aver partecipato alla realizzazione dell'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi.Nel 2009 ha pubblicato, con Daniela Cipolloni, il suo secondo libro, Compagno Darwin, sulle interpretazioni politiche della teoria dell'evoluzione.

Articoli recenti

Il talco può aumentare il rischio di tumore?

Il colosso farmaceutico Johnson & Johnson pagherà 6,5 miliardi di dollari per chiudere le cause…

3 ore fa

Mesotelioma, 9 casi su 10 sono dovuti all’amianto

Si tratta di una patologia rara e difficile da trattare. Colpisce prevalentemente gli uomini e…

3 giorni fa

Uno dei più misteriosi manoscritti medioevali potrebbe essere stato finalmente decifrato

Secondo gli autori di un recente studio potrebbe contenere informazioni sul sesso e sul concepimento,…

6 giorni fa

Ripresa la comunicazione con la sonda Voyager 1

Dopo il segnale incomprensibile, gli scienziati hanno riparato il danno a uno dei computer di…

1 settimana fa

Atrofia muscolare spinale, ampliati i criteri di rimborsabilità della terapia genica

L’Aifa ha approvato l’estensione della rimborsabilità del trattamento, che era già stato approvato per l'atrofia…

1 settimana fa

Così i tardigradi combattono gli effetti delle radiazioni

Resistono alle radiazioni potenziando la loro capacità di riparare i danni al dna. Piccolo aggiornamento…

1 settimana fa

Questo sito o gli strumenti di terze parti in esso integrati trattano dati personali (es. dati di navigazione o indirizzi IP) e fanno uso di cookie o altri identificatori necessari per il funzionamento e per il raggiungimento delle finalità descritte nella cookie policy.

Leggi di più