Cosa è la Tobin Tax e quali sono i suoi vantaggi

Il 10 ottobre, durante il vertice Ecofin a Lussemburgo, 11 paesi dell’Eurozona hanno raggiunto un accordo per imporre alle banche il pagamento della cosiddetta “Tobin Tax”, l’imposta sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe generare nuovo gettito e scoraggiare gli speculatori. Questa l’analisi pubblicata su Sapere nel dicembre 2011. 

La crisi finanziaria che stiamo ancora vivendo è solo l’ultima e la più ampia di una lunga serie. Tra le più recenti ricordiamo quella che ha colpito il Sud-Est Asiatico nel 1997, quelle regionali o nazionali (Messico, Russia, Brasile, Argentina), la bolla della new-economy. Mentre due miliardi di esseri umani sono esclusi dall’accesso al credito, una finanza ipertrofica e sempre più scollegata dall’economia reale sposta montagne di soldi virtuali 24 ore su 24 all’ossessiva ricerca del massimo profitto nel più breve tempo possibile.

Tra il 1980 e il 2005 il volume complessivo della finanza è passato dal 109% al 316% del valore della produzione mondiale. Gli scambi tra valute hanno oggi superato i 4.000 miliardi di dollari al giorno, a fronte di un commercio transfrontaliero, gli scambi nell’economia reale, di 15.000 miliardi di dollari l’anno. Questo significa che circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari che in un anno nell’economia reale. Non solo. Nel 2007, gli scambi di valuta erano pari a 3.300 miliardi di dollari al giorno. Un aumento del 20% in tre anni, a dispetto della crisi.

A dicembre 2000 il nazionale, ovvero il valore di riferimento, di tutti i derivati Over the Counter in Italia ammontava a 1.400 miliardi di dollari. A giugno 2009 il totale era di 10.397,3 miliardi di dollari. Un aumento di qualcosa come il 642% nel giro di nove anni. Nello stesso periodo il PIL italiano è cresciuto del 26%. I cittadini hanno pagato un caro prezzo per la crisi. Non una, ma già molte volte. Il nostro denaro non è stato usato per promuovere un’economia migliore e il benessere della società; è stato messo a rischio; è stato investito in un “casinò finanziario”; la crisi ha avuto conseguenze pesantissime sulla vita delle persone in tutto il mondo; per salvare il sistema finanziario che l’ha causata sono stati effettuati enormi salvataggi, con i nostri soldi; la crisi ha comportato lo scoppio di una bolla dei prezzi del cibo e delle materie prime, con impatti devastanti, in particolare per i più poveri del mondo; oggi dobbiamo sopportare tagli alle spese sociali e piani di austerità perché i conti pubblici sono disastrati; anche la “ricca Europa” si trova nel mirino di una speculazione ripartita a pieno ritmo. Insomma, agli speculatori finanziari gli utili, ai cittadini e agli Stati sovrani i danni.

Tutto questo mentre a distanza di oltre tre anni dallo scoppio della crisi stiamo ancora aspettando delle normative per regolamentazione della finanza. A ogni crisi finanziaria si ripete “mai più un simile collasso”, “servono più regole” e via discorrendo. Al di là delle dichiarazioni, è ora di promuovere delle misure concrete per fermare la speculazione e chiudere il “casinò finanziario” globale.

La tassa sulle transizioni finanziarie
La tassa sulle transazioni finanziarieTTF – è un’imposta estremamente ridotta su ogni compravendita di strumenti finanziari. L’attuale proposta prevede un tasso dello 0,05%. Questo non scoraggerebbe i normali investimenti sui mercati, mentre è ben diversa la situazione per chi specula comprando e vendendo titoli nell’arco di pochi secondi o addirittura di millesimi di secondo e che dovrebbe pagare la tassa per ogni transazione. Il peso della tassa diventa progressivamente più alto tanto più gli obiettivi sono di breve periodo. Realizzando 100 operazioni di compravendita sullo stesso titolo dovrei pagare la TTF 100 volte, il che renderebbe l’operazione speculativa economicamente sconveniente. Non solo. Il mercato dei derivati, con costi delle transazioni molto più ridotte del mercato spot, sarebbe colpito in maniera proporzionalmente maggiore. Al contrario, gli acquisti realizzati con orizzonti di lungo periodo non subirebbero effetti apprezzabili. Questo significa che piccoli risparmiatori, fondi pensione e altri investitori istituzionali trarrebbero beneficio dall’imposta il cui peso ricadrebbe su attori altamente speculativi quali gli hedge fund.

In altre parole la tassa rappresenta uno strumento di straordinaria efficacia nel contrastare il “casinò finanziario” e per riportare la finanza al suo ruolo originario: non un fine in sé stesso per produrre denaro dal denaro nel più breve tempo possibile, ma un mezzo al servizio dell’economia e della società. La TTF si limita ai mercati finanziari. Altri trasferimenti, come i pagamenti per beni e servizi, le prestazioni lavorative, le rimesse dei migranti, i prestiti interbancari e ogni operazione delle banche centrali non verrebbero tassati in alcun modo.

Ulteriori vantaggi
Il freno alla speculazione e la generazione di un gettito sono unicamente i due effetti più immediati di una TTF, ma le ricadute positive sono molte di più. Le attività finanziarie sono tassate in maniera del tutto inadeguata o non lo sono per nulla, in particolare rispetto alla tassazione sul lavoro. Una TTF va quindi nella direzione di una maggiore giustizia fiscale. A pagare la tassa sono i grandi attori della finanza, e in particolare quelli a vocazione speculativa. La TTF è dunque uno strumento di redistribuzione delle ricchezze su scala globale e obbliga la finanza a pagare almeno una parte del costo della crisi. Si ridà alla sfera politica una forma di controllo su quella finanziaria adottando una misura che permette di tutelare la stabilità finanziaria intesa come “Bene Pubblico Globale”. Viene diminuito il volume complessivo delle attività finanziarie, liberando risorse che si possono investire nell’economia reale e riequilibrando, almeno in parte, le enormi disparità tra economia reale e attività meramente finanziarie.

L’imposta premetterebbe di migliorare la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari. La TTF rappresenta uno dei sistemi più efficaci per adottare controlli sui flussi di capitale in entrata e in uscita dai paesi, un’altra misura fondamentale per riscrivere le regole che sovrintendono la finanza globale.

La maggioranza delle grandi imprese è oggi inoltre controllata da attori finanziari e investitori istituzionali che hanno come obiettivo profitti a breve e la massimizzazione del valore delle azioni, non uno sviluppo sostenibile dell’impresa. Questo crea instabilità per il mondo produttivo ed è una delle principali manifestazioni della finanziarizzazione dell’economia. La TTF permetterebbe di porre un forte freno a tale fenomeno, provvedendo a una “definanziarizzazione dell’economia”.

Le proposte e il percorso degli ultimi anni
In Italia è stata lanciata l’anno scorso la campagna Zerozerocinque (www.zerozerocinque.it), promossa da oltre quaranta organizzazioni e reti della società civile italiana, nel quadro di analoghe campagne a livello europeo e globale. La campagna si pone come obiettivo l’adozione di una TTF e il sostegno dell’Italia alle proposte europee e internazionali.

La campagna riprende un lungo percorso della società civile italiana e internazionale, che si era impegnata in passato per l’approvazione della cosiddetta Tobin tax, ovvero un’imposta simile alla TTF ma limitata alle sole transazioni sulle valute e che prende il nome dal premio Nobel per l’economia James Tobin, che per primo la propose negli anni Settanta. Nel 2001 la FOCSIV, con molte altre organizzazioni ha lanciato la campagna “Tobin Hood, una tassa per lo sviluppo”. L’anno successivo, un’ampia coalizione coordinata dall’associazione Attac ha portato a consegnare in Parlamento un disegno di legge di iniziativa popolare con il sostegno di quasi 180.000 firme per chiedere l’introduzione della Tobin tax.

Le commissioni parlamentari riunite Finanze ed Affari Esteri – pur esprimendo orientamento favorevole – lasciarono decadere i tempi del dibattito parlamentare chiudendo così l’iter legislativo della proposta, che non è mai stata discussa in Parlamento. Una dimostrazione del fatto che i principali ostacoli verso l’approvazione di una simile soluzione non sono di natura tecnica quanto politica, e in particolare nell’enorme potere della lobby finanziaria, che si oppone, nonostante la crisi degli ultimi anni, a qualunque forma di regolamentazione e ancora più di tassazione.

Un contesto politico favorevole
Se proposte di tassazione delle transazioni finanziarie in passato erano viste come difficilmente realizzabili, oggi, anche a causa della crisi finanziaria, diversi governi europei, dalla Francia, alla Spagna alla Germania ad altri ancora, così come il Parlamento Europeo, la sostengono apertamente. Se l’Italia si aggiungesse a questi paesi, si potrebbe raggiungere la massa critica necessaria per l’adozione della TTF nell’area euro in tempi brevi.
Gli effetti di una TTF sarebbero estremamente positivi nel nostro paese, dove la struttura produttiva è fondata sulle piccole e medie imprese. Chi esporta vedrebbe ridotto il rischio di speculazioni sulle valute; la quotazione del petrolio e delle materie prime sarebbe più stabile e prevedibile; diminuirebbero le possibilità di attacchi sui titoli di Stato, a tutela dei piccoli risparmiatori. Il recente esempio di Grecia e Irlanda ha purtroppo chiarito le possibili conseguenze tanto economiche quanto sociali di tali attacchi. Oggi anche il nostro paese si trova nell’occhio del ciclone della speculazione internazionale. L’insieme dei cittadini e dell’economia nazionale trarrebbe quindi dei grandi benefici dall’applicazione della TTF. Parliamo di una maggiore stabilità finanziaria, di minori rischi nell’export, di maggiore facilità nel reperire i capitali sui mercati finanziari, e di diversi altri risvolti positivi, tra cui il miglioramento dei conti pubblici, con ulteriori evidenti vantaggi per il debito pubblico e l’economia nazionale. Vantaggi analoghi andrebbero a fondi di investimento, fondi pensione e più in generale a chi investe sui mercati finanziari con un’ottica di lungo periodo e non con fini speculativi.

Utilizzo e gestione del gettito
Uno dei principali vantaggi della tassa sulle transazioni finanziarie risiede nell’enorme gettito che garantirebbe. Con un’imposta dello 0,05% parliamo di 200 miliardi di euro l’anno nel caso di una sua applicazione in Europa e di 650 miliardi di dollari all’anno se applicata su scala globale.

Rimangono aperte due questioni. Primo: come impiegare questi soldi e per quali attività? Secondo: chi gestirebbe il gettito e chi dovrebbe occuparsi della raccolta e della supervisione? Riguardo il primo punto, le reti della società civile internazionale che spingono per l’introduzione della tassa chiedono che la metà del gettito venga impiegato su scala nazionale nei paesi che l’hanno adottata, l’altra metà per scopi internazionali, finanziando interventi di lotta alla povertà e ai cambiamenti climatici. Il 50% del gettito sarebbe quindi gestito da ogni singolo Stato e destinato alle sue spese sociali e al welfare, spostando il conto della crisi stessa dai cittadini che ne hanno già pagato le conseguenze ai grandi attori della finanza che ne rivestono le maggiori responsabilità. La tassa permetterebbe quindi di prelevare delle risorse dai grandi attori della finanza per “restituirle” ai cittadini. Non per nulla viene chiamata la tassa “Robin Hood”.

Dall’altra parte, quella sulle transazioni finanziarie è un tipico esempio di tassa globale, la cui applicazione può contribuire a tutelare un bene comune – la stabilità finanziaria internazionale – e il cui gettito può finanziare altri beni comuni. Il peso della crisi ricade anche, e forse soprattutto, sui paesi più poveri, che non hanno nessuna responsabilità per la crisi attuale e che, non avendo dei mercati finanziari sviluppati, non trarrebbero beneficio da un utilizzo del gettito per politiche nazionali. In questo quadro, la metà delle entrate dovrebbe essere utilizzata per obiettivi internazionali, ovvero per la lotta ai cambiamenti climatici e per la cooperazione
e l’aiuto allo sviluppo. Considerando il gettito, la TTF potrebbe dare un contributo di grande rilevanza in tutti questi ambiti.

La seconda domanda riguarda la gestione della tassa. Si possono ipotizzare due casi opposti e una serie di situazioni intermedie.A un estremo, i singoli paesi riscuotono il gettito e ne decidono l’impiego. L’intero processo viene quindi gestito a livello nazionale. In questo caso i paesi con i mercati finanziari più sviluppati (USA, Gran Bretagna, Germania) raccoglierebbero il grosso delle entrate. All’estremo opposto, il processo viene interamente gestito a livello internazionale dove un’istituzione ad hoc, sotto l’egida dell’ONU, si occupa di tutti gli aspetti.
Questa seconda ipotesi presenta diversi vantaggi: rispecchia l’idea di una “tassa globale” e permetterebbe di rafforzare la cooperazione internazionale. Uno dei motivi principali della crisi nasce dall’esistenza di un solo mercato finanziario globale senza frontiere, mentre le leggi e le normative sono ancorate agli Stati-Nazione. Una gestione sovra-nazionale della TTF permetterebbe di introdurre delle regole globali in risposta a dei problemi globali.

Dall’altra parte, però, al momento un tale meccanismo è molto difficile da ipotizzare e rischierebbe di allungare notevolmente i tempi di attuazione della tassa, mentre uno dei suoi vantaggi principali risiede nella semplicità tecnica della proposta. È infatti improbabile che allo stato attuale i governi nazionali siano disposti a rinunciare alla propria sovranità in materia fiscale. Per questo, una delle ipotesi proposte è quella di partire con un’imposta che faccia capo ai singoli governi, i quali si impegnano a vincolare il 50% delle entrate a obiettivi internazionali. Progressivamente, con l’entrata a regime della tassa sulle transazioni finanziarie, ci si può poi spostare verso una gestione sempre più internazionale, raggiungendo gli altri vantaggi segnalati.

È necessario applicarla in tutto il mondo?
La critica ricorrente alla proposta di una TTF riguarda il fatto che sarebbe possibile applicarla unicamente su scala internazionale, altrimenti la sua introduzione si tradurrebbe in uno spostamento delle operazioni finanziarie verso quei paesi e mercati che non la adottano. Diversi argomenti vanno però nella direzione opposta, e dimostrano come sia possibile applicare la tassa sulle transazioni finanziarie – TTF in un numero limitato di paesi.

Primo, l’applicazione può avvenire in maniera centralizzata. Ogni transazione effettuata in un paese
che adotta la TTF è soggetta al pagamento della tassa (principio territoriale). Secondo questo approccio verrebbero tassate le operazioni realizzate fisicamente in Italia, come per esempio alla Borsa di Milano. Questa modalità necessiterebbe effettivamente di un’applicazione della TTF a livello internazionale per evitare triangolazioni con paesi che non la adottano, aprendo a una possibilità di elusione. È però possibile un secondo approccio che supera questo problema: quello decentralizzato. Ogni residente di un paese che applica la TTF è legalmente tenuto a pagarla (principio personale o individuale), indipendentemente da dove la transazione ha materialmente avuto luogo. Questo significa che un cittadino italiano sarebbe soggetto al pagamento anche per operazioni estero su estero. Il gettito riscuotibile in Italia corrisponderebbe inoltre esattamente alle
operazioni realizzate da imprese e cittadini del nostro paese, indipendentemente dal fatto che tali operazioni vengano eseguite alla Borsa di Milano, alle Isole Cayman o dal computer di casa. In questa modalità, ogni persona fisica o giuridica residente in Italia è quindi soggetta al pagamento della tassa. Disegnando la proposta di TTF con questa seconda modalità, le possibilità di elusione diventano quindi enormemente minori. L’approccio decentralizzato lascia aperta una minima eventualità di elusione. Se per i cittadini e le “normali” operazioni sui mercati finanziari tale possibilità diventa molto remota, i soggetti più speculativi, quali gli hedge fund, potrebbero essere spinti a registrarsi e operare dall’estero. Questi attori già oggi sono solo in minima parte residenti sul nostro territorio. Soprattutto, l’economia italiana non trae alcun beneficio da operazioni di compravendita che si concludono in breve tempo, facendo entrare e uscire capitali dal nostro paese con l’unico obiettivo di estrarre profitti nel più breve tempo possibile. Questi capitali non portano ricchezza o sviluppo all’Italia, ma, al contrario, sono proprio le operazioni che hanno un maggiore effetto di destabilizzazione sui mercati ed impatti negativi sull’economia nazionale. A spostarsi verso i paesi che non applicano la TTF sarebbero quindi le operazioni puramente speculative. Questo significa un incentivo notevole ad applicarla per quelle giurisdizioni che non vogliono ridursi a essere un puro casinò finanziario.

L’esperienza dimostra che è possibile disegnare la tassa in modo da minimizzare le possibilità di elusione ed evasione. In Gran Bretagna esiste da anni la Stamp Duty, un’imposta dello 0,5%, ovvero dieci volte più di quanto proposto per la TTF, applicata su ogni compravendita di azioni di imprese britanniche. È stata concepita in modo che un investitore non diventa legalmente proprietario di un’azione finché non dimostra l’avvenuto pagamento dell’imposta. In questo modo l’elusione è praticamente nulla.

A Wall Street, la borsa di New York, esiste un’imposta su tutte le imprese quotate sui due mercati principali, il New York Stock Exchange e il NASDAQ. L’imposta attuale è pari allo 0,003%, e il gettito viene utilizzato per finanziare l’ente di controllo e supervisione dei mercati, la SEC (l’equivalente della nostra CONSOB). È stata dimezzata dall’Amministrazione Bush perché il gettito era “eccessivo”. Il punto centrale non è quindi il numero di paesi che applica la tassa, ma il modo in cui questa viene ideata e realizzata.

Il discorso tecnico prescinde da considerazioni più generali. Il fatto che si possa ipotizzare una remota eventualità di eludere di un’imposta non può rappresentare un argomento contro la sua applicazione. Tutte le forme di tassazione possono dare luogo a elusione o evasione. Questo non può essere un motivo per non attuarle, a meno di non volere abolire tutte le tasse e quindi l’idea stessa di Stato moderno.L’Italia è purtroppo un caso fin troppo evidente di come tutte le imposte possano essere evitate dai più “furbi”. È il caso di abolire la tassazione o piuttosto di rafforzare i controlli e contrastare l’evasione fiscale?

In ultimo, ammesso che l’ideale sarebbe una TTF applicata su scala globale, se l’Italia si unisse a Francia, Germania, Spagna, Belgio e agli altri paesi dell’area euro che si sono già schierati a favore, si potrebbe raggiungere una massa critica sufficiente per una sua veloce adozione. Oltre ai vantaggi immediati per le economie europee, si tratterebbe di un segnale di grande forza nella direzione di una sua applicazione in altre nazioni, e progressivamente su scala mondiale.

Le altre critiche ricorrenti
Oltre alla questione dei paesi di applicazione, alcuni critici sostengono che la TTF avrebbe effetti negativi per i mercati e la liquidità, e quindi per l’economia. Gli esempi della City di Londra e di Wall Street a New York, riportati in precedenza, permettono di smentire agevolmente tale affermazione.

Di fatto nei due mercati più grandi, più liquidi e più sviluppati del mondo esiste già un’imposta su alcune particolari transazioni finanziarie. È vero che l’applicazione dell’imposta ridurrebbe la liquidità dei mercati, visto che uno degli scopi dichiarati è proprio quello di diminuire il numero delle transazioni. Meno liquidità può significare in concreto che gli investitori dovrebbero aspettare mediamente più tempo per vendere i propri titoli. Sono però opportune due considerazioni: in primo luogo la TTF colpirebbe in misura molto maggiore le transazioni di brevissimo termine mentre l’impatto sulle operazioni su titoli già oggi meno liquidi sarebbe molto minore. Il calo di liquidità riguarderebbe quindi i titoli maggiormente usati per operazioni speculative. In secondo luogo la diminuzione della liquidità, legata al piccolo aumento dei costi dovuto alla tassa, riporterebbe i costi delle singole transazioni al livello a cui erano 10 o 15 anni fa, quando i mercati erano già sufficientemente – se non eccessivamente – liquidi. Tali eventuali costi sarebbero più che compensati, per l’insieme dell’economia, i risparmiatori e il sistema produttivo, dalla diminuzione dei rischi e dell’instabilità sui mercati. Un’altra critica insiste sul fatto che la TTF diminuirebbe l’efficienza dei mercati L’applicazione di imposte può avere effetti distorsivi, e i sostenitori del libero mercato affermano che la TTF diminuirebbe l’efficienza dei mercati finanziari, il cui primo scopo deve essere quello di garantire l’allocazione ottimale delle risorse economiche tra chi ha bisogno di capitali (tipicamente le imprese) e chi ha dei risparmi da investire (famiglie, privati).

In effetti la TTF comporterebbe una riduzione della dimensione dei mercati finanziari. Tale imposta, però, frenerebbe le scommesse a carattere speculativo, non gli scambi legati all’economia reale. In questo senso la TTF permetterebbe a mercati finanziari di dimensione ridotta di assolvere altrettanto bene (se non meglio) la loro funzione, visto che azioni e obbligazioni emessi dalle imprese e i risparmi dei cittadini sarebbero meno in balia delle tempeste speculative. In altre parole i mercati finanziari potrebbero assolvere le stesse funzioni utilizzando meno risorse. In termini economici, questa è la definizione stessa di una migliore efficienza, all’opposto di quanto sostenuto da alcuni critici.

In pratica la TTF permetterebbe di liberare enormi risorse, che oggi non hanno alcuna utilità per il corretto funzionamento dei mercati finanziari e che potrebbero essere reinvestite nell’economia reale.

È sicuramente vero che una TTF non rappresenta la panacea di tutti i problemi del mondo finanziario, né i suoi proponenti lo hanno mai sostenuto. È però altrettanto vero che questa misura potrebbe dare un importante contributo. Come afferma il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, «gli investimenti sbagliati non sono tutta la storia della crisi. Quello che ha trasformato cattivi investimenti in una catastrofe è stata l’eccessiva dipendenza del sistema finanziario dai soldi a breve termine. […] E una tassa sulle transazioni, scoraggiando la dipendenza dai finanziamenti di brevissimo periodo, avrebbe reso molto più improbabile il verificarsi degli stessi eventi. Così, al contrario di quanto affermano gli scettici, tale tassa avrebbe aiutato a prevenire l’attuale crisi – e ci potrebbe aiutare a prevenire un suo futuro ripetersi».

La TTF potrebbe essere applicata in maniera relativamente semplice, e a costi estremamente bassi. Le transazioni finanziarie sulle borse di tutto il mondo vengono registrate su piattaforme elettroniche.  Sarebbe sufficiente un apposito software per prelevare l’imposta e versarla in automatico all’ente preposto a raccogliere il gettito. Evitare le piattaforme elettroniche al fine di eludere l’imposta si rivelerebbe molto più costoso e rischioso. Il costo amministrativo dell’imposta sarebbe quindi estremamente ridotto. Anche in questo caso l’esempio della Stamp Duty in Gran Bretagna può essere di aiuto: le autorità stimano che il costo sia meno dello 0,05% del gettito raccolto. Per fare un confronto, il costo amministrativo dell’applicazione dell’imposta sugli utili delle imprese è pari allo 0,7% del gettito, ovvero in proporzione 14 volte superiore.

Conclusioni
La Tassa sulle Transazioni Finanziarie rappresenta uno degli strumenti più efficaci per arrestare la speculazione sui mercati, per generare un reddito da destinare alla tutela dei Beni Pubblici Globali, per frenare lo strapotere della finanza. Non ci sono difficoltà o impedimenti tecnici in una sua applicazione in breve tempo; è unicamente una questione di volontà politica. Studi autorevoli dimostrano la fattibilità tecnica della TTF. Occorre ora superare l’enorme potere delle lobby finanziarie, che si oppongono a qualunque forma di imposta o regolamentazione.

Per questo la pressione delle organizzazioni della società civile e dell’opinione pubblica è fondamentale. I cittadini, le lavoratrici e i lavoratori, le imprese produttive hanno già pagato un conto fin troppo salato per una crisi provocata dall’avidità degli speculatori finanziari e dall’assenza di regole e controlli. Un conto che si traduce in perdita di posti di lavoro, in aumento del debito pubblico, in aumento delle povertà tanto nel Sud del mondo quanto da noi, in maggiore insicurezza, in minori tutele sociali. È oggi possibile invertire la rotta e iniziare a chiedere ai responsabili della crisi di pagare una parte sostanziale del conto.

Per frenare la speculazione, per una redistribuzione delle risorse, per una maggiore giustizia ed equità fiscale, per finanziare il welfare, la cooperazione internazionale e la lotta ai cambiamenti climatici. Mai più una finanza selvaggia, ma risorse per i cittadini e per il pianeta.

Questo articolo è stato pubblicato con il titolo “Voglia di Tobin Tax” sul numero di dicembre 2011 di Sapere. Ecco come acquistare una copia della rivista o abbonarsi on line.

Credits immagine: 401(K) 2012 / Flickr

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here