Così esplode una pulsar “modello”

Le stelle di neutroni, o pulsar, risucchiano continuamente materiale dallo spazio circostante. Matematizzare questa “abbuffata” cosmica, e le violente reazioni termonucleari che ne derivano, è per gli astronomi un compito arduo e finora calcoli teorici e realtà non hanno mai coinciso. Ora però, osservazioni del team di ricerca di Manuel Linares del Mit di una pulsar dell’ammasso globulare Terzan 5 confermano, per la prima volta, la validità dei modelli applicati a questi fenomeni estremi. Queste “esplosioni da manuale” sono descritte sull’Astrophysical Journal.

Le pulsar sono il residuo “non disperso” di una supernova, un concentrato estremamente denso di quasi soli neutroni. Gli astrofisici le studiano per analizzare il comportamento della materia ultradensa, uno stato che potrebbe (ipoteticamente) raggiungere il nostro Sole se venisse compresso al diametro di pochi chilometri. Il volto più spettacolare dei corpi a neutroni è il cosiddetto processo di accrezione, dove il plasma strappato alle stelle vicine ricade violentemente sulla superficie della pulsar, innescando reazioni di fusione nucleare accompagnate da esplosioni. Dalla Terra, nella fase di rilascio di energia, viene registrato un picco di raggi-X.

Per trasporre il processo di accrezione in termini fisici, gli scienziati partono dal considerare quanto plasma è attratto verso la pulsar. Si suppone poi che la frequenza di esplosioni sia direttamente proporzionale all’intensità di questo flusso: l’arrivo di poco plasma genera esplosioni temporalmente più rarefatte, mentre con un apporto maggiore le esplosioni si infittiscono. Superata però una soglia critica, di combustibile per la fusione ne arriva così tanto che la reazione procede in modo continuo, senza fasi di picco né quiescenze.

Il team di ricerca del MIT ha misurato picchi di raggi-X in direzione di un sistema binario di stelle al centro della Via Lattea, parte dell’ammasso globulare Terzen 5. Questi impulsi, raccolti dal telescopio del satellite Rossi X-ray Timing Explorer: RXTE, sono apparsi abbastanza separati da suggerire che la sorgente fosse una pulsar a bassa velocità di accrezione. In misurazioni fatte successivamente, tuttavia, la distanza tra i picchi poteva diminuire, fino addirittura a tracciare un segnale continuo.

I diversi pattern registrati possono dunque essere intesi come il frutto di variazioni nel flusso di plasma. Quanto osservato è in accordo, per esempio, con l’ipotesi che un’insistente pioggia di plasma, quando si verifica, renda stabile il processo nucleare (che perde così la sua capacità esplosiviva).

“Rimane da chiedersi – commenta Deepto Chakrabarty, uno degli autori dello studio – perché, dopo decenni di indagini, la conferma ai modelli teorici arrivi solo adesso”. La risposta è da cercare in una peculiarità di molte stelle a neutroni, cioè l’incessante e vorticosa rotazione attorno ad un asse, di cui non si tiene conto nei modelli tradizionali. Durante la rotazione, infatti, il possibile attrito tra i diversi strati può influenzare l’efficienza della fusione nucleare. Ma in una stella a neutroni come quella trovata in Terzen 5, che compie 11 giri in un secondo (pochissimi, se confrontati ai 200-700 delle pulsar più diffuse), l’effetto frizione si può trascurare, così che il modello teorico risulti perfettamente aderente alla realtà.

Riferimento: arXiv 1111.3978v1 [astro-ph.HE]

Credit immagine: NASA/Dana Berry

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