Cinque falsi positivi ogni sei presunti casi di tumore al seno. L’alta frequenza di errori nello screening tramite risonanza magnetica per immagini (Rm) richiede una più attenta valutazione del ricorso alla mastectomia e porta l’attenzione sulla necessità di informare correttamente le pazienti e di migliorare le tecniche di indagine. Questo il messaggio lanciato sul numero di aprile di Annals of Oncology da Nicoline Hoogerbrugge dell’Hereditary Cancer Clinic della Radboud University Nijmegen (Paesi Bassi).
Lo studio olandese pone in seri dubbi l’attendibilità delle diagnosi ottenute mediante questa tecnica. I ricercatori, che hanno seguito per un periodo medio di due anni circa 200 donne di età compresa tra i 21 e i 68 anni con familiarità o predisposizione genetica per il tumore al seno, hanno verificato che sul totale delle diagnosi positive ottenute mediante Rm, circa l’80 per cento non veniva confermato dall’esame istologico.
Lo studio riporta per questa tecnica anche una certa percentuale di falsi negativi: il 6 per cento delle donne a rischio – che si sono sottoposte a mastectomia preventiva nonostante l’esito negativo di mammografia e Rm – presentava una forma iniziale di cancro al seno che, se non curata, può diventare invasiva.
Ripercorrendo le tappe che hanno portato le pazienti alla decisione di asportare il seno, è emerso che, dopo una visita preliminare, il 30 per cento delle donne aveva espresso la preferenza per l’operazione chirurgica, il restante 70 per cento per effettuare mammografia e Rm. Di queste, il 90 per cento ha scelto la mastectomia dopo che la Rm ha dato un esito positivo. La ricerca ha però anche messo in evidenza che l’eventuale decisione di sottoporsi a un intervento preventivo era determinata non solo dall’esito dello screening ma, più frequentemente, da considerazioni legate a esperienze familiari e al vissuto della paziente. (s.p.)
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