Dalle cineprese ai telescopi

Quarant’anni dopo l’invenzione del sensore di immagini CCD (acronimo di Charged Couple Device, vale a dire dispositivo ad accoppiamento di carica), la commissione svedese del Nobel si è accorta della sua enorme importanza premiando George Smith e Willard Boyle con un quarto di premio ciascuno (l’altro mezzo a Charles Kuen Kao per la teoria delle fibre ottiche). Non molti (che non siano fisici della materia condensata) conoscono questi due schivi e taciturni scienziati, ma a me è accaduto di lavorarci assieme, quindi sento l’obbligo di celebrarli un poco. L’invenzione del CCD, infatti, oltre a costituire il fulcro di una rivoluzione nell’ambito delle teletrasmissioni, implica alle spalle una poderosa e sistematica ricerca nella fisica delle superfici dei semiconduttori che risale agli anni Cinquanta. Ricerca svolta precipuamente presso i Laboratori della AT&T Bell, ma anche in altri laboratori industriali e varie università americane ed europee, a includere il piccolo gruppo di pionieri diretto da Gianfranco Chiarotti in quel di Pavia, dove io ebbi la ventura di svolgere la mia tesi di laurea. È lì che iniziò la mia attività nello specifico settore, estesasi poi all’Università dell’Illinois con John Bardeen. Attività che mi fruttò la successiva assunzione presso i Laboratori Bell, dove ebbi George Smith come capogruppo e Willard Boyle come direttore dell’area di optoelettronica.

I sensori di immagine CCD – quelli che trovano impiego nelle macchine fotografiche e nelle cineprese, oltre che nei laboratori scientifici – sono divenuti oggi dispositivi onnipresenti, persino nella telescopia astronomica, senza i quali sarebbe impensabile registrare immagini in condizioni di scarsa luminosità, se non addirittura notturne. Fino al 1968 un tale tipo di sensore di immagine non esisteva. Il CCD è stato definitivamente messo a punto allorché mi trovavo a svolgere un soggiorno estivo presso i Laboratori Bell (tuttavia, ahimè, in altre faccende affaccendato), dove fino a due anni prima ero stato ricercatore permanente. I Laboratori Bell erano stati per molti anni la culla di scoperte e invenzioni fondamentali – transistor, laser, effetti quantici, radiazione di fondo cosmico, eccetera – e sede di lavoro di una lunga fila di scienziati vincitori del premio Nobel, di cui Smith e Boyle erano degni eredi. Si può dire che il CCD è l’incontrastato protagonista del settore del rilevamento e della trasmissione delle immagini: un vero e proprio occhio a semiconduttore. Il termine “accoppiamento” sta a significare un processo di trasferimento di “pacchetti” di elettroni da un punto a un altro della superficie di una piastrina di silicio, fino a raggiungere il circuito di uscita.

Fisica delle superfici

Negli anni Sessanta, la competenza ai Laboratori Bell sul comportamento delle cariche elettriche presso la superficie del silicio era molto approfondita, perché fin dai tempi che avevano preceduto l’invenzione del transistor classico, quello detto “a giunzione” – fatta congiuntamente nel 1948 da Walter Brattain, John Bardeen e William Shockley – i primi due della famosa triade si erano adoperati per realizzare il “transistor a effetto di campo”, in cui appunto l’amplificazione di segnali elettrici si sarebbe dovuta realizzare attraverso un controllo delle cariche in movimento presso la superficie del semiconduttore. Il transistor a effetto di campo, realizzato solo molti anni dopo, fu chiamato FET (Field Effect Transistor), o anche MOSFET (Metal Oxide Semiconductor FET) ed è divenuto l’anima dei circuiti integrati, dei microprocessori logici binari, delle memorie nei personal computer, dei telefoni cellulari, e di ogni altra applicazione iperminiaturizzata.

In whisky veritas

Alla metà degli anni Sessanta, ai Laboratori Bell si lavorava al progetto del CCD in tutta segretezza, persino nei confronti degli stessi colleghi. Quando finalmente il primo prototipo di CCD si dimostrò funzionante, si organizzò la consueta bicchierata (fuori orario di lavoro) che il gruppo faceva in occasione di grandi risultati o pubblicazioni che promettevano di avere interessanti sviluppi futuri. Il luogo dei bagordi era un cocktail lounge a un paio di miglia di distanza dai Laboratori Bell. Ognuno pagava un giro di brandy alexander o rusty nail o martini extra dry, dopo di che tornava a casa guidando la propria auto in stato di ebbrezza, sfidando le ronde della polizia, che a tale comportamento applicava pene severissime (ma mai questo avvenne, per nostra fortuna). Ma “semel in anno licet insanire”, ci dicevamo l’un l’altro quasi per darci un alibi, anche se in quel magnifico ambiente di lavoro quel semel non era poi tanto semel: diciamo una volta al mese. In qualità di più giovane della comitiva, non mi era mai stato possibile, anche volendo, sottrarmi alla tradizione. Tanto meno lo fu nella circostanza del CCD. George Smith era un ottimo bevitore e in quel caso festeggiò l’evento con speciale dedizione, tanto che ho in mente un’immagine di lui che raggiunge la sua macchina attraversando carponi il prato e che si aggrappa al volante per issarsi al posto di guida. Non a caso, il giorno del Nobel la risposta che ha dato ai giornalisti americani, che lo interrogavano su come lui e sua moglie avrebbero festeggiato la vittoria, è stato “We might move our cocktail hour forward a bit today!”.

Ma tornando al CCD, dirò brevemente che il dispositivo in sostanza opera la traduzione di un’immagine, ossia di una distribuzione spaziale di segnali luminosi, in una sequenza temporale di segnali elettrici. A livello dell’utente questo treno di segnali viene riconvertito  – tramite un meccanismo che agisce  in sintonia con quello attivo nel CCD – in una distribuzione spaziale di intensità luminosa, così da riprodurre l’immagine di partenza. Dispositivo principe di una scienza che prende il nome di optoelettronica, nella quale luce e corrente elettrica vengono convertite l’una nell’altra una o più volte. Una scienza che oggi domina totalmente il settore della trasmissione a distanza delle immagini.

Proprietà dei sensori CCD

Naturalmente l’invenzione dei fisici della Bell Telephone apparve subito una grande rivoluzione e, come sempre avviene, fu fatta propria da altri laboratori – ad esempio la Texas Instrument, la Fairchild, la RCA, la Sony – che contribuirono al perfezionamento del dispositivo, in primo luogo rendendolo capace di riprodurre immagini a colori. Il merito primario di Boyle e Smith era stato già riconosciuto nel 2006 con il Charles Stark Draper Prize dell’Accademia Nazionale USA di Ingegneria e con la loro ammissione alla Hall of Fame of Inventors, l’empireo americano dei grandi inventori. Oggi, ottobre 2009, la motivazione ufficiale del Nobel recita “hanno aiutato a gettare le fondamenta delle odierne società interconnesse. Hanno creato molte innovazioni pratiche per la vita quotidiana e fornito nuovi strumenti per l’esplorazione scientifica”. I due vengono inoltre sontuosamente definiti “maestri della luce”.

In alternativa ai CCD, si possono usare con risultati analoghi mosaici di CMOS, acronimo di Complementary Metal Oxide Semiconductor. Il CMOS è di gran lunga il più comune dispositivo prodotto in microelettronica e trova impiego in una gamma vastissima di dispositivi, non solo nei sensori di immagine, quindi risulta meno costoso. Rispetto ai sensori di immagini tradizionali, tipicamente pellicole fotografiche o – come nelle primitive copiatrici e macchine FAX, estese superfici di materiale fotoconduttore – i vantaggi dei sensori a CMOS o a CCD sono straordinari. Miniaturizzazione, alta risoluzione ed eccezionale sensibilità: la cattura della luce nei CCD si avvicina al 70 per cento, contro il 2 per cento dei film fotografici, ciò che lascia intuire, ad esempio, l’importanza dei primi in astrofotografia, dove è stato avviato un “Progetto Galileo” per ottenere immagini in altissima risoluzione dei corpi celesti. Visibilità nella nebbia, perché i CCD di silicio nella regione del vicino infrarosso sono relativamente sensibili e tali radiazioni subiscono meno gli effetti di diffusione, che nel visibile è invece marcata, tanto più marcata quanto più ci si sposta verso il blu-violetto. Sono poi quasi illimitate le possibilità di manipolare le immagini al computer, e via dicendo. Insomma, grazie a questi sensori l’image processing è divenuto uno dei cardini della vita dell’uomo moderno.

Rimane da dire che nel corso degli anni successivi quel gioiello che erano i Laboratori Bell è stato praticamente smantellato con motivazioni politiche e di programmazione industriale. Ripassarci adesso e rivedere in mani altrui quegli splendidi edifici, dove avevo lavorato e imparato il mestiere del fisico come in nessun’altra precedente o successiva affiliazione, mi produce una stretta al cuore, come in tutti coloro che hanno condiviso la mia esperienza.

*Università di Roma “La Sapienza”

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