Dall’ospedale al laboratorio

Il morbo di Chagas, la malattia del sonno, l’ulcera del Buruli, la leishmaniosi, ma anche forme rare di tubercolosi e gravi malattie tropicali. Sono solo alcune delle patologie particolarmente invalidanti o potenzialmente mortali che affliggono le popolazioni dei paesi in via di sviluppo e che non ricevono ancora trattamenti terapeutici adeguati. Ignorate dalle aziende farmaceutiche e trascurate dai governi occidentali, pur rappresentando l’11,4 per cento delle malattie presenti nel mondo, sono state definite, loro malgrado, “malattie dimenticate”. E l’espressione è davvero “felice”, se così si può dire, visto che solo l’1 per cento dei farmaci approvati negli ultimi vent’anni è stato destinato alla loro cura. Eppure, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), le medicine essenziali dovrebbero “essere sempre disponibili in quantità sufficiente e sotto la forma farmaceutica appropriata”. Purtroppo le cose non stanno così e ottenere in breve tempo un cambio di rotta radicale non è impresa semplice. Ci prova ora l’associazione Medici Senza Frontiere (Msf) che il 3 luglio scorso ha presentato a Ginevra la Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi). L’idea è quella di coinvolgere enti di ricerca industriali e pubblici dei paesi in via di sviluppo e di farli collaborare con scienziati di tutto il mondo, per sperimentare nuove combinazioni di farmaci, migliorare l’uso di prodotti già esistenti, sviluppare sistemi diagnostici e vaccini, che siano realmente accessibili alle popolazioni più povere del pianeta. La nascita di una rete globale per lo sviluppo dei farmaci dimenticati è stata preparata fin dal 1999, anno in cui si riunì per la prima volta il Gruppo di lavoro per farmaci destinati alle malattie dimenticate (DND-WG ) con la speranza di individuare strategie innovative per garantire la produzione e diffusione di medicinali a prezzi di costo. “Per oltre vent’anni ci siamo trovati di fronte a situazioni scioccanti e spesso eravamo i soli testimoni di ciò che accadeva. Per esempio abbiamo iniettato a migliaia di pazienti il farmaco tossico melarsoprol, pur sapendo che una persona su venti sarebbe morta per effetti collaterali e non abbiamo trattamenti di nessun tipo da offrire ai nostri pazienti malati di ulcera del Buruli nell’Africa Occidentale e della forma cronica della malattia di Chagas in America Latina. Non potevamo permettere che questa situazione andasse avanti”, dice Bernard Pécoul di Msf. Il progetto ha un obiettivo ambizioso, ma non impossibile: infrangere alcune basilari regole del mercato, cioè rinunciare ai profitti per soddisfare i bisogni di chi soffre. Alcuni progetti infatti sono diventati già realtà. Si tratta di quattro studi pilota sullo sviluppo di trattamenti specifici per la cura della malaria, della leishmaniosi, e della malattia del sonno africana. In questi, come per i progetti futuri, la DNDi non esclude il ricorso a capitali privati di aziende farmaceutiche e biotecnologiche (per circa il 30 per cento del budget annuale), qualora i finanziamenti pubblici non fossero sufficienti, a condizione però di mantenere completamente il controllo sulla produzione e distribuzione del farmaco che deve venire considerato un “bene pubblico globale”. Non una fonte di reddito, quindi, ma la legittima risposta a esigenze rimaste spesso inascoltate. E saranno proprio i medici di Msf a individuare, con attendibile precisione, gli effettivi bisogni di quei pazienti dell’Africa o del Sud America costretti il più delle volte a rinunciare a terapie troppo costose. “Noi siamo in una posizione ideale per identificare specifici bisogni prioritari. Msf è in grado di documentare la mancanza di trattamenti e di test diagnostici, la necessità di dosaggi per bambini o di formulazioni più semplici per migliorare il rispetto del trattamento nel suo complesso. Lavoriamo con persone che soffrono e muoiono per la mancanza di cure, in ambienti estremamente precari, in cui gli attori tradizionali sono assenti o sfuggono alle loro responsabilità. Non possiamo limitarci ad accusare la comunità internazionale perché non agisce. Dobbiamo essere noi stessi ad agire, intervenire. Grazie alle attività che svolge e ai luoghi in cui opera, Msf è in una posizione unica per contribuire al superamento di determinate barriere che attualmente esistono nella ricerca e sviluppo dei farmaci”.

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