Categorie: Società

Diamo il Nobel alle donne africane

Le donne sono la spina dorsale dell’Africa. Dalla gestione della famiglia al ruolo nell’agricoltura, dall’impegno politico a quello nell’economia, le donne sono il traino del continente nero: lavorano nei campi più degli uomini, producono l’80 per cento dei beni di consumo, fanno chilometri a piedi per assicurare l’acqua alla famiglia, ma sono anche a capo di imprese, impegnate nel sociale, nella salute, nella costruzione della pace. Insomma, “l’Africa cammina con i piedi delle donne” per dirla con lo slogan della campagna Noppaw (Nobel Peace Prize for African Women) lanciata da Solidarietà e Cooperazione Cipsi insieme a Chiama l’Africa, che propone la candidatura collettiva delle donne africane al premio Nobel per la pace 2011. La proposta ha l’obiettivo di richiamare l’attenzione dei media su queste protagoniste silenziose del nostro tempo e dare un nuovo impulso alla cooperazione.

“Si tratta di una candidatura simbolica, per sottolineare come la costruzione della pace sia un processo che passa per la collettività e non per i singoli”, spiega Guido Barbera, presidente di Solidarietà e Cooperazione Cipsi. La proposta del Nobel collettivo è infatti del tutto atipica. Il premio in genere viene assegnato a persone o gruppi organizzati con una sede, un indirizzo, una ragione sociale. “Noi invece non indichiamo una persona in particolare a cui destinare il premio e la relativa somma di denaro”, continua Barbera. “La Commissione esaminatrice, però, può scegliere tra le oltre 100 storie di donne presentate nel nostro dossier, in particolare nei settori della sanità, della micro-imprenditorialità e dell’educazione e formazione”.   

I promotori della campagna, infatti, hanno inviato alla Commissione di Olso un documento che, attraverso dati statistici e storie di vita, racconta il protagonismo delle donne e presenta le reti di organizzazioni femminili attive in Africa. In primo luogo viene sottolineato il ruolo delle donne nei processi di costruzione della pace: in situazioni di conflitti e guerre, che le espongono maggiormente a violenze e sopraffazioni, le donne si sono dimostrate in grado di reagire, di associarsi per parlare dei loro problemi, di consigliare altre famiglie, di migliorare la loro condizione economica. Ma in loro impegno è forte anche come care-giver (dispensatrici/operatrici di cura) nel campo della salute, che pure le vede più a rischio degli uomini. Nella sola Africa sub-sahariana il 61 per cento delle persone affette da HIV è donna, e le giovani tra i 15 e i 24 anni hanno una probabilità almeno tre volte maggiore di essere contagiate rispetto ai coetanei maschi. Il numero di donne che convivono con mutilazioni genitali è compreso tra i 100 e 140 milioni, a cui ogni anno si aggiungono tre milioni di bambine. Il rischio di morire per gravidanza e parto è di 1 a 16 per una madre africana, a fronte di una probabilità su 3.800 per una donna che vive nei paesi industrializzati.  

Oltre alla cura della casa e della famiglia e al ruolo di educatrici, le donne africane sono presenti nell’economia, in particolare quella di sussistenza. Rappresentano il 70 per cento della forza agricola, producono l’80 per cento delle derrate alimentari e ne gestiscono la vendita per il 90 per cento. Secondo dati Ifad del 2009, il 30 per cento delle aziende agricole familiari risulta guidato da donne. Sono protagoniste anche nell’imprenditoria: secondo uno studio della Banca Mondiale, le donne hanno una riuscita almeno pari agli uomini nelle imprese che possiedono, in settori tradizionali e non formali dell’economia, e non si tratta solo di piccole realtà: solo l’8 per cento sono microimprese, mentre oltre il 30 per cento ha più di 250 dipendenti. E’ cresciuta negli anni anche la partecipazione delle donne africane alla vita politica e la loro influenza nella società civile, con i movimenti per la difesa dei diritti che sono riusciti a fare pressioni per includere nelle costituzioni clausole di equità di genere e contro la discriminazione.

Nelle intenzioni dei promotori, la campagna mira a dare impulso alla cooperazione internazionale. “E’ un richiamo a destinare più risorse e fondi alla cooperazione”, conclude Guido Barbera, “e a stimolare la nascita di una nuova cooperazione, basata sulla costruzione di relazioni e sulla convivenza, sul modello proposto proprio dalle donne africane”. L’iniziativa ha finora raccolto oltre 25 mila firme e l’adesione di personaggi del mondo della politica, della cultura, dello spettacolo. Per sostenerla basta visitare il sito della campagna.

Roberta Pizzolante

Giornalista pubblicista dal 2005, è laureata in Sociologia e ha un master in "Le scienze della vita nel giornalismo e nei rapporti politico-istituzionali" conseguito alla Sapienza. Fa parte della redazione di Galileo dal 2001, dove si occupa di ambiente, energia, diritti umani e questioni di rilevanza etica e sociale. Per Sapere, bimestrale di scienza, si occupa dell'editing e della ricerca iconografica. Nel corso negli anni ha svolto vari corsi di formazione e stage nell'ambito della comunicazione (Internazionale, Associated Press, ufficio stampa della Sapienza di Roma, Wwf Italia). Ha scritto per diverse testate tra cui L'espresso, Le Scienze, Mente&Cervello, Repubblica.it, La Macchina del Tempo, Ricerca e Futuro (Cnr), Campus Web, Liberazione, Il Mattino di Padova. Dal 2007 al 2009 ha curato l'agenda degli appuntamenti per il settimanale Vita non Profit.

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