Dimmi cosa scrivi online e ti dirò chi sei

    Per le sue mille funzionalità, il computer permette di fare quasi tutto. Anche riconoscere la nostra personalità, basandosi su ciò che scriviamo, in particolare online, ad esempio sui social network come Facebook e Twitter. È la tesi di alcuni ricercatori del Laboratorio Linguaggio, Interazione e Computazione (CLIC Labs) del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello (CIMeC) dell’Università di Trento, tra cui Fabio Celli, che ha appena pubblicato il manualeAdaptive Personality Recognition from Text” .

    Secondo uno dei modelli più testati, il ‘Big Five‘, le caratteristiche essenziali per definire la personalità sono cinque: nevroticismo, estroversione, apertura, amabilità e coscienziosità. “In base a recenti studi psicologici è possibile correlare i tratti dello scritto con quelli della personalità: ad esempio, chi usa molta punteggiatura ha un basso tasso di estroversione e un alto tasso di apertura all’esperienza, chi parla molto spesso della famiglia ha un basso tasso di apertura all’esperienza, e chi utilizza parole più lunghe di 6 caratteri è solitamente più introverso”, dice Fabio Celli. “Negli studi, a partire dai contenuti pubblici di un campione di 13mila utenti Twitter e di un migliaio di utenti Facebook, abbiamo raccolto e interpretato i dati seguendo le linee guida, validandoli attraverso test offline e online e, nel caso di Facebook, attraverso alcuni questionari somministrati a 30 volontari. Al momento, le prestazioni di questi sistemi per il riconoscimento della personalità sono intorno al 60%, ma un ricercatore ha ottenuto il 72% ed un altro addirittura il 90%, con prospettive molto promettenti”.

    Alcuni di risultati ottenuti finora verranno presentati l’11 luglio al Massachusetts Institute of Tecnology (MIT) di Boston al primo workshop sul tema, di cui Celli è tra gli organizzatori. “Studiando i dati, abbiamo rilevato che gli utenti emotivamente stabili conversano con una cerchia ristretta di persone; invece gli utenti classificati come nevrotici tendono ad avere interazioni più deboli: spesso non ricevono risposta e cercano di conversare con individui più lontani nella rete, come se non riuscissero a stabilizzare i legami conversazionali e ne cercassero di nuovi”, spiega il ricercatore. “In questo modo, i nevrotici permettono ad un potenziale messaggio o idea di diffondersi più facilmente”. E proprio quest’ultimo aspetto è alla base del ‘marketing virale‘, cioè il passaparola virtuale, uno dei possibili settori applicativi del metodo. Tra le altre applicazioni, inoltre, il riconoscimento della menzogna in ambito forense e lo studio dei comportamenti e dei disturbi a essi legati.

    Credits immagine: ~Aphrodite/Flickr

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