Gli ormoni della discordia

    Negli ultimi cinque anni non ha avuto vita facile, con quel continuo saliscendi dal banco degli imputati, ogni volta con un’accusa differente, ma mai con un verdetto definitivo. I guai per la terapia ormonale sostitutiva (Tos), la cura a base di estrogeni per alleviare i sintomi della menopausa, cominciarono nel 2002 quando uno studio ad ampio raggio commissionato dal governo statunitense, denominato Women Health Initiative (Whi), la incolpò di aumentare il rischio di infarto, ictus, e tumori a seno e ovaie. Da quel momento la tormentata esistenza della Tos propagandata, sin dagli anni Sessanta negli Usa e dagli Ottanta in Europa, come l’elisir di giovinezza capace di cancellare tutti i disturbi tipici del climaterio – e addirittura prevenire anche malattie come l’Alzheimer e il tumore al seno (Estrogeni contro l’Alzheimer e La terapia ormonale arresta il cancro), non sembra aver trovato ancora pace. Tre nuovi studi, usciti in successione ravvicinata dallo scorso aprile a oggi, sono infatti tornati ad agitare le acque: due rincarano le vecchie accuse, mentre un altro fornisce una debole difesa.

    Partiamo dal più recente, pubblicato l’11 luglio sul British Medical Journal, e significativamente intitolato Wisdom, che è acronimo di Women’s International Study of long Duration Oestrogen after Menopause, ma che significa anche prudenza. Quella che invitano a usare i ricercatori nel prescrivere la terapia a base di ormoni a donne ultrasessantenni, lontane anche quindici anni dall’ingresso in menopausa. I risultati della ricerca mettono infatti in guardia proprio le donne più anziane trattate con la terapia combinata a base di estrogeni e progesterone: sono loro a correre un più alto rischio di disturbi coronarici, come angina pectoris, infarti o tromboembolismi. Bisogna evitare, concludono i firmatari dello studio condotto su 5.692 donne dall’età media di 63 anni, di somministrare alle pazienti di età avanzata la combinazione ormonale in questione.

    Ma il discorso può non valere per le più giovani, e qui veniamo alla seconda ricerca uscita il 21 giugno scorso sul New England Journal of Medicine: si tratta di un sottostudio del Whi, l’organismo che cinque anni fa scatenò i primi sospetti. Questa volta però i sostenitori della Tos, produttori di ormoni in primis, possono tirare un sospiro di sollievo. Abbandonati i toni decisamente accusatori del precedente intervento, ma non lo scetticismo di fondo, il Whi fornisce adesso qualche appiglio in più per chi volesse ancora salvare il salvabile. Le giovani donne (il campione era formato da 1.064 donne tra i 50 e i 59 anni) in terapia a base di soli estrogeni (e non in terapia combinata) mostrano una minore formazione di placche di calcio nel sangue, e quindi un rischio inferiore di disturbi coronarici, rispetto alle coetanee fuori trattamento.

    Un punto a favore della Tos? Non proprio: “Dobbiamo sottolineare comunque che questi nuovi risultati non modificano le attuali raccomandazioni di usare alla dose più bassa e per il minore tempo possibile la terapia ormonale che comunque non può mai venire impiegata per prevenire patologie cardiache”, taglia corto Elisabeth G. Nabel direttrice del National. Lung and Blood Instituite (Nhlbi), un organo del Nhi (National Institutes of Health) statunitense, che ha commissionato lo studio.

    Le cose si mettono ancora peggio se passiamo alla terza e ultima pubblicazione dello scorso aprile sul New England Journal of Medicine. Qui l’accusa è indiziaria, prove certe non ve ne sono, ma i sospetti sono fondati sui dati piuttosto eloquenti riportati dai ricercatori del National Cancer Institute: dal 2002 al 2004 le prescrizioni della Tos negli Usa sono crollate, per effetto delle prime imputazioni contenute nel famoso studio del Whi, da 60 milioni a poco più di 20 milioni; ebbene nello stesso periodo di tempo i tumori femminili nella fascia di età tra i 50 e i 70 anni sono calati del 15 per cento l’anno. L’equazione “meno ormoni = meno tumori al seno” non lascia spazio ad alcun alibi: la Tos sembra spacciata. Del resto la cattiva fama degli estrogeni circola già da tempo negli ambienti medici, anche di casa nostra. L’oncologo Luigi Castagnetta nel 2003 insieme a colleghi di vari centri americani aveva dimostrato il ruolo degli estrogeni non solo nell’avvio, ma anche nella proliferazione dei tumori alla mammella (Estrogeni alla sbarra) e perciò raccomandava di riconsiderare l’approccio terapeutico in menopausa. Poco prima era stato inferto un altro duro colpo all’illusione degli ormoni-panacea: non solo la terapia combinata non serviva a prevenire l’Alzheimer, ma anzi aumentava il rischio di incorrere in patologie del sistema nervoso (No agli ormoni combinati), perché poteva causare coaguli e restringimenti dei capillari venosi del cervello. La conferma di questi antichi sospetti giunta dagli studi recenti non fa ben sperare e per le donne in menopuasa, commedie teatrali a parte (Menopausa in scena), non sembra ci sia ancora molto da stare allegre.

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