Se al robot spuntano i baffi

    A vederli muoversi, arrampicarsi, nuotare o volare si fa fatica a chiamarle macchine. I robot di nuova generazione somigliano infatti sempre più a esseri viventi e, come loro, hanno sviluppato il senso dell’orientamento, la capacità di manipolare oggetti, di imitare un modello di riferimento e di cooperare con altri simili. Come si è arrivati a tutto questo? Semplicemente andando a lezione di biologia. Insetti, ragni, polipi e pesci hanno di volta in volta fornito il modello per la realizzazione di dispositivi dalle sembianze e caratteristiche simili all’uno o l’altro animale. Di recente a far da musa ispiratrice (ma sarebbe più appropriato “muso ispiratore”) dell’ingegneria robotica sono scesi in campo anche i topi.

    Imitando i modelli neuronali e la morfologia dei loro baffi verrà infatti realizzato Biotact (biomimetic technology for vibrissal active touch), un robot dotato del senso del tatto. Il progetto, che vede impegnata la Sissa insieme a otto partner europei e uno statunitense, prende spunto dall’abilità dei ratti di comprendere con estrema precisione, proprio grazie ai lunghi peli che hanno sul muso (vibrisse), la conformazione di una superficie, accorgendosi per esempio se è più o meno ruvida.

    “I movimenti tattili delle vibrisse fanno partire segnali sensoriali che comunicano al cervello come sono fatti gli oggetti circostanti e permettono a questi animali di muoversi ed esplorare l’ambiente in assenza di segnali visivi”, spiega Matthew E. Diamond responsabile del laboratorio di percezione e apprendimento tattile della Sissa che ha appena pubblicato su Plos Biology i risultati di uno studio sull’attività neuronale dei ratti. Il team di Diamond è riuscito a registrare i segnali trasmessi dai baffi alla corteccia cerebrale gettando così luce sul meccanismo che traduce il tatto in riconoscimento. Ora l’infallibile sistema di ricognizione è pronto per essere trasferito a un robot.

    Non è la prima volta che ciò accade. Di macchine “bio-inspired”, a cui Science dedica uno speciale sul numero appena uscito, Galileo si è occupato più volte e ripercorrendone gli esempi più significativi si ottiene un quadro nitido dell’attuale stato dell’arte: mentre è ancora lontana la prospettiva di ottenere in laboratorio un neurone sintetico, è invece perfettamente realizzabile il trasferimento ai robot dei principi che governano i sistemi biologici.

    Ed è ciò che ha reso possibile la realizzazione di un braccio meccanico nato su modello della proboscide degli elefanti (Una proboscide per modello). Si tratta di Isella, un prototipo di arto bionico messo a punto da scienziati tedeschi dotato di motori elettrici che simulano il movimento dei muscoli dell’appendice prensile dei pachidermi. Servirà per la costruzione di protesi più economiche ed efficienti di quelle attuali.

    Anche dai polipi abbiamo molto da imparare. Come fanno per esempio a camminare sui loro arti molli? Se lo è chiesto un team di biologi dell’Università della California convinti che scoprirlo potrebbe dare un significativo contribuito alla robotica “morbida” e inaugurare una nuova frontiera per la costruzione di arti e muscoli artificiali meno rigidi (La passeggiata del polipo).

    Un robot con le sembianze di una salamandra (Ecco il robot salamandra) ha lavorato invece a fianco dei biologi per svelare uno dei momenti chiave dell’evoluzione: il passaggio degli organismi dalla vita acquatica alla terraferma. Nata nei laboratori del Politecnico di Losanna la lucertolona hi-tech poteva vantare una stretta somiglianza con gli animali del Devoniano e perciò mimarne i comportamenti: “Abbiamo dimostrato come un sistema di locomozione basato su quattro zampe può essere costruito su un primitivo circuito specializzato nel nuoto”, spiegava Jan Auke Ijspeert, a capo del team di Losanna. Il robot poteva muoversi con agilità sia sulla terraferma che in acqua.

    Per carpire i segreti di un infallibile senso dell’orientamento, gli ingegneri dell’Università di Zurigo si sono messi a spiare le formiche (Orientamento da formica). Dotate di un sistema, che funziona come un navigatore satellitare, questi animali sono infatti in grado di elaborare i dati relativi ai percorsi e alle distanze per sviluppare nuovi tragitti e scorciatoie. Trasferendo ai robot la stessa capacità di resettare le informazioni, si compierebbe un notevole passo avanti verso una capacità di orientamento autosufficiente delle macchine. Con gli algoritmi matematici ispirati al comportamento di questi piccoli insetti, si possono anche creare software per risolvere problemi di trasmissione all’interno di una rete o ottimizzare la logistica delle imprese. Lo spiegava in un’intervista a Galileo Marco Dorigo, direttore dell’Istituto di Ricerca Interdisciplinare e Sviluppo in intelligenza artificiale della Libera Università del Belgio (L’algoritmo? È nel formicaio).

    Negli anni abbiamo visto robot prendere lezioni di volo dai moscerini (Il segreto del volo), corpi meccanici controllati da cervelli di pesci (Ecco il pesce robot), gechi presi a modello per la realizzazione di super adesivi. E abbiamo testimoniato come gli animali siano entrati di diritto nella storia dell’intelligenza artificiale (L’intelligenza in scatola).

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